CONTATTO ZERO
Una storia di PABLO MIGUEL MAGNANI
Illustrazioni di ENZO FURFARO

Capitolo 17 - Il potere di libido
Il Potere di libido

La fatica e la droga permisero ad Arcadi di lasciare Milly in un luogo riparato. Non ancora addormentata, si era abbandonata nel torpore di una leggera ebbrezza, coricata sopra un tappeto di muschio nell’angolo sbrecciato di un terrazzino. Occhi socchiusi sul cielo al tramonto, corpo rilassato, come in ascolto di una melodia lontana.
Arcadi rimontò sulla capsula, era giunto il momento di giocare a carte scoperte con Brumana. Era stato ad Ambergo fino a poco prima e quando era arrivato, all’improvviso si era materializzato un altro di quei fenomeni omicidi che ce l’avevano con Arcadi. Troppo strano per non destare sospetti. Il serpente doveva stare là per tendere un agguato.
Purtroppo non aveva potuto approfondire con Rubagotti se anche altri agenti erano stati aggrediti. L’unica maniera per fare chiarezza era tornare alla sede dell’Agenzia. Ma Brumana forse si era aperto una succursale.
Il Pontecarro era una piattaforma di secondo livello, come l’inceneritore. Attorno era stato costituito un vasto spazio per depositare materiale. Materie prime raccolte dai droni nei giacimenti che un tempo si chiamavano discariche e piazzole ecologiche. Enormi ammassi piramidali di plastiche e metalli, separati per tipologia, costellavano una spianata di gettate di cemento pazientemente livellato dalle macchine. Al centro svettava il pilone della piattaforma del Pontecarro con la caratteristica arcata quadrangolare.
La capsula di Arcadi si avvicinava a tutta forza alla piattaforma. Una capsula ondeggiava, appesa al braccio del pilone. Anche se il sole si stava congedando, i suoi raggi sparavano proprio sul piano sopraelevato. Arcadi riuscì a distinguere le ombre lunghe di due persone. Brumana!
Senza dubbio anche loro si accorsero che stava arrivando uno scocciatore. Si mossero al riparo del pilone, così Arcadi li perse di vista, anche perché doveva manovrare l’avanfreno e il gancio per assicurare la capsula.
Il pensiero che avrebbero potuto sparagli mentre era ancora sulla capsula lo colse soltanto mentre usciva dall’abitacolo. Sarebbe stata però una pessima idea: potevano danneggiare il mezzo o altri strumenti. No, si disse Arcadi, per qualche ragione era in corso un complotto che non voleva lasciare tracce.
“Così ce l’hai fatta.”
Brumana, a braccia conserte nel suo completo verde fustagno, lo attendeva in fondo all’area di imbarco come se davvero si fossero dati appuntamento.
“Ti dispiace, vero?”
“No, – rispose tranquillamente Brumana – perché così potrò vederti cadere.”
Arcadi teneva le mani nelle tasche del gilet, pronto a estrarre il maglio.
“Devo ammettere che ci sei costato. Un pivello che liquida quattro Plus nuovi di zecca non lo avevamo messo in conto.”
“Plus? Cosa sarebbero? Versioni aggiornate di sintopersone?” domandò Arcadi arrestandosi dopo aver giudicato la distanza utile per il tiro.
“Hai mai visto sintopersone del genere? Una sintopersona può essere equipaggiata di un carattere e destinata a un compito. Ancora faticano a gestire strumenti e rapportarsi con persone nuove. In poche parole: non imparano. Vanno bene per la vita nei cellapp. I Plus sono un capitolo nuovo, sono forti, si adattano alle circostanze e sono immuni alle malattie. Sono il regalo di un potente alleato, un alleato che chiede in cambio un piccolo sacrificio.”
Arcadi strinse il maglio nella tasca: “Gli agenti. State liquidando tutti gli agenti.”
“Complimenti. Rubagotti aveva ragione, sei il migliore della nidiata. Peccato che le tue belle qualità non servano più. Però non temere, sarai lo stesso utile alla causa degli alveari. Farai parte di una nuova squadra.”
Arcadi estrasse il maglio: “Su le braccia! Vieni avanti lentamente. Finiremo il discorso davanti al consiglio degli amministratori.”
Brumana non si mosse: “No, sei tu che finirai, adesso. Avanti Libido, prendilo!”
Dal pilone si staccò una sagoma che fino a quel momento era stata parte della struttura metallica. La mimetica che indossava riproduceva il colore dello scenario e degli oggetti che la circondavano. Una mutazione cromatica da competizione al campionato dei camaleonti.
Nonostante Brumana si fosse rivolto a qualcuno in una posizione dietro le sue spalle, Arcadi non si girò. Era un vecchio trucco e non gli sembrava il caso di farsi fregare con così poco. Teneva sotto tiro Brumana ed era pronto a fare fuoco se si fosse mosso anche di un solo centimetro.
Fu Arcadi a doversi muovere. Si sentì invadere da un insolito formicolio sottopelle, su tutto il corpo. Una strana sensazione di tepore, una sete. La concentrazione veniva meno.
Che stava facendo con il maglio puntato su Brumana? Non si litiga tra agenti. Siamo tutti dalla stessa parte. Un equivoco non andava chiarito con le armi. I pensieri arrivavano nella testa di Arcadi, leggeri come piume in una notte di pioggia. Il risultato era una confusione che apriva la strada al desiderio. Il desiderio di tornarsene a casa, di riabbracciare Mari, sua moglie.
Arcadi si voltò. Mari era lì. Il suo sorriso accogliente, il naso curioso che tanto gli era piaciuto. Indossava una vestaglia variopinta dalle maniche larghissime che mandava bagliori cangianti nella luce del tramonto. Mari lo attendeva, allargava le braccia pronta a stringerlo. Sembrava una grande farfalla umana che pulsava di colore.
Arcadi lasciò cadere il maglio e di slancio andò ad abbracciarla. La colpa per averla trascurata e maltrattata era sommersa dal desiderio di unirsi a lei e rinnovare la perfetta sintonia nata nell’alveare.
La braccia di Mari si chiusero attorno al collo di Arcadi e in quell’accoglienza si trovò felicemente paralizzato. Una trappola. Ma la preda era ben contenta, nella cattura raggiungeva il suo appagamento carnale. La forza del piacere cancellava ogni altro pensiero, anche l’autoconservazione.
Perciò Arcadi, perso nella voluttà dell’incontro con la sua Mari, non vide e soprattutto non sentì il nuovo arrivato.
“Mi rincresce interrompervi – disse l’intruso -, purtroppo il mio recupero crediti ha la precedenza.”
Arcadi venne strappato brutalmente dal suo intimo godimento e rotolò sulla pedana di imbarco fino al pavimento della piattaforma. Andò a urtare il corpo steso di Brumana. Anche lui non aveva visto e sentito il nuovo arrivato, rimediando in cambio un anti estetico bernoccolo e un viaggio nello stordimento.
Ma Arcadi, per quanto confuso e accaldato, era sveglio e potè assistere alla lotta incredibile tra un mostro semi carbonizzato e una creatura semi invisibile. Il primo contendente riuscì a identificarlo per via delle scarpe da cricket bianche. Il resto del corpo era un’ossatura annerita dalle carezze del fuoco. Più difficile identificare contro cosa stesse combattendo la caparbia sintoper dell’Isola. Non aveva una forma. Si coglievano soltanto dei movimenti, variazioni di tonalità nel fondale della base del pilone, lo sfondo della piattaforma e scorci di cielo che ormai volgeva allo scenario serale.
Libido era il suo nome. Di cosa fosse capace, Arcadi lo realizzava mentre i suoi pensieri riprendevano il corso razionale. Il suo potere agiva esaltando gli istinti di base, quella forza primordiale che spinge le cellule a incamerare energia e scindersi per dare continuità: la catena della vita. Nel suo caso aveva usato l’immagine di Mari come richiamo, appellandosi a tutto ciò che la sua figura significava: l’amore domestico, l’obbedienza alle leggi dell’alveare, la continuità della comunità governata dagli amministratori.
Il potere di Libido aveva scarsa presa, per non dire nulla, sulla Neolib a piede libero. La mente della sintoper chiusa e programmata sulle dottrine del turbocapitalismo non poteva essere influenzata, neanche sul piano dialettico. L’incontro pertanto si traduceva in scambi di calci e pugni.
Se Libido approfittava del suo camuffamento e della scarsa luce per sottrarsi all’assalto, la Neolib utilizzava la sua superiore capacità di calcolo per indirizzare i colpi nelle aree di maggiore probabilità. Arcadi, da spettatore rinsavito, poteva assistere allo scontro tra la passione nuda e invisibile e il volto denudato dell’utilitarismo. Sentimento irrazionale ed economia applicata.
Anche in quel caso non vi fu un vincitore. Lo scontro divenne un match alla pari. Pari e morte.
Una raffica feroce falciò i due contendenti riducendoli a pezzi. Brumana si era ridestato: un risveglio nel peggiore degli umori per un uomo armato di neutralizzatore.
Arcadi ritenne opportuno porgergli il saluto: gli saltò addosso per un intenso massaggio di nocche sul testone massiccio. Gli agenti degli alveari non erano abituati ad un corpo a corpo così serrato. Proprio per rispettare il contatto zero erano addestrati a forme di lotta che miravano a tenere l’avversario a distanza. Brumana mollò il neutralizzatore per ripararsi la testa tempestata di pugni.
“Basta! Basta!”
Arcadi scalciò via il neutralizzatore e, cavate di tasca due fascette, bloccò rapidamente i polsi di Brumana.
“In piedi! – ordinò Arcadi assestando una pedata di incoraggiamento al suo capo – Abbiamo ancora un ultimo viaggio da fare, poi ti daranno quel che meriti.”
“Ascolta, tornare là nell’alveare non conviene a nessuno: io ho fallito la mia missione e tu sei ancora un bersaglio.”
“Oh, davvero? L’avevo vagamente notato. Non puoi dirmi qualcosa di nuovo? Tipo… la verità.”
Brumana sospirò, il suo faccione pestato luccicava nella scarsa luce della prima sera. I fari del pilone si erano accesi, così come le luci di sicurezza sui bordi della piattaforma.
“I Plus sono stati creati per sostituire gli agenti.”
“A che scopo?”
“Gli alveari hanno fatto un accordo…”
“Con chi? Degli Esterni? Gente che sta fuori dalla Zona rossa?”
“Non proprio…”
“Allora chi? Dei predoni? Degli sbandati delle montagne? Avanti, vedi di sciogliere la lingua. La strada del ritorno potrebbe essere ancora più pesante per te.”
“Non hai idea di cosa stai sfidando.”
“Allora spiegati!” Arcadi spinse la punta dello scarpone sulle costole di Brumana.
“Non sono esseri materiali, neanche energia, sono un misto. Da quel che ho capito, sono “informazioni” viventi. Dicono di chiamarsi iPersone e li abbiamo trovati nella vecchia rete elettrica cittadina. Un drone scavatore ha attivato per caso uno dei loro canali di comunicazione. Ci hanno offerto la biotecnologia per allestire i cellapp degli alveari, i mezzi di trasporto e le comunicazioni. Hanno tutta la conoscenza del vecchio mondo e tanto altro ancora. Hanno il sapere per costruirne uno nuovo sopra questa distesa di macerie.”
“E per farlo perché ci devono ammazzare?”
Brumana scoppiò a ridere: “Ma non hai capito? La faccenda degli intrusi è stata soltanto un finto allarme, una scusa per far uscire gli agenti dagli alveari. Le iPersone vogliono prendere il controllo, non vogliono uccidere nessuno.”
“Le frustate del Diavolo Coraggioso, le tenaglie di Rumpo, lo spacciatore di sogni, le zanne del serpente umano e la farfalla Libido, tutti questi fenomeni fabbricati dalle iPersone secondo te non mi volevano morto? Allora recitavano benissimo!”
Con poco garbo, Arcadi spinse Brumana verso la piattaforma di imbarco. Salirono sulla capsula e, ognuno immerso nei propri pensieri, iniziarono il viaggio per l’alveare centrale. Il cavo era teso sul paesaggio di Milangeles ormai avvolto dalle ombre della sera. I profili delle costruzioni si fondevano in una serie sovrapposta di dune blu. Le uniche luci, come distanti costellazioni, erano i fari delle piattaforme. Gagliarde stelle fisse in un vuoto di rovine schifato anche dai ratti.
Forse è poca cosa, pensava Arcadi, ma è tutto quello che siamo riusciti a conservare dalla catastrofe. Se gli amministratori non hanno giocato pulito, l’avranno fatto soltanto per tenere testa alla nostra “gentile” matrigna.
Giunti in vista dell’alveare centrale il prigioniero giocò l’ultima carta: “Stai sbagliando Arcadi. Stai facendo l’errore più grosso della tua vita. Rubagotti cosa ti ha detto?”
“Rubagotti è finito in bocca al serpente… – ringhiò Arcadi – Altro che colpo di mano senza spargere sangue. Queste iPersone non sono tanto diverse da un’infezione virale. Si sono spacciate per benefattrici, ora si prendono tutto l’ospite.”
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1° edizione – Progetto Iskandar – Marzo 2020
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