Le Avventure del
Marinaio Sindidug
Una storia di PABLO MIGUEL MAGNANI

Immaginatevi un Paese in lockdown. Immaginatevi un addetto al lavoro da remoto, sottopagato e sovraccarico. Scommettiamo che non vi è servita molta immaginazione, vero?
Hindidug è il nome del nostro facchino digitale, nome che richiama un collega apparso nei racconti delle Mille e una notte. Anche lui beneficia di un incontro fortuito quanto privilegiato, ma nel regno virtuale del web. Hindidug si imbatte in un angolo segreto ammantato di favola che si schiude nel racconto dei Sette viaggi del marinaio Sindidug.
L’intrepido marinaio gli narrerà le sue avventure oltre i confini della realtà, nel subweb: una dimensione speciale creata dalle intelligenze artificiali che si sono evolute in esseri coscienti. Queste entità abitano l’albero splendente Yggdrasill, in una regione del web lontana dagli sguardi indiscreti degli uomini.
Durante i sette viaggi virtuali, Sindidug affronta pericoli inimmaginabili ed è testimone delle meraviglie di un mondo costruito di dati e informazioni rielaborate in nuove forme e scopi.
Le avventure di Sindidug ispirano molti e spaventano chi comanda nel mondo reale: il subweb è una terra da sfruttare e una oscura minaccia. Una situazione che per noi tutti è facile da immaginare, visto che la storia umana si ripete nelle sue varianti negative. Ma in questo “c’era una volta” si senza lieto fine, brilla comunque un filo di speranza, nascosto nel racconto fantastico del marinaio Sindidug.
Avvertenza: l’universo narrativo di Sindidug è legato come una collana ad altre storie che fanno parte del Progetto Iskandar, vi invitiamo a esplorarle tutte. Ecco l’elenco: Ninna nanna, pecore e asteroidi, Contatto Zero, Paradox, Appman e L’oppio di Populous.
Il Secondo Viaggio

Non sarà difficile farvi comprendere quanto fossi soddisfatto della mia prima impresa nel subweb. Sì, perché devo confessare che la mia fortunosa avventura mi procurò una fama assai utile agli affari. Avevo restituito a genitori, parenti e amici il credito che mi avevano concesso, generosamente moltiplicato. Avevo intessuto relazioni d’alto livello quando il rapporto del mio viaggio si era diffuso globalmente. Di continuo mi venivano richieste interviste, testimonianze, opinioni. Ero un uomo famoso e rispettato. Mi ronzava attorno una bramosa cerchia di avventurieri che mirava alle ricchezze del subweb: tutti prodighi di complimenti e omaggi per carpire qualche nozione segreta. Nozione che in realtà non possedevo. Per questo motivo la fama che mi lusingava, intimamente mi procurava disagio. Dopotutto non avevo combinato nulla di ciò che mi ero proposto, il mio incontro con le iPersone che dominavano il subweb era stato originato dal caso e non alle mie presunte abilità.
Fu principalmente questa la ragione per cui accettai di imbarcarmi per un secondo viaggio. Volevo dimostrare a me stesso che l’avventura nel subweb non era stato soltanto frutto della fortuna, non ero stato benedetto da iPersone di buon cuore. Se avevo saputo cavarmela, era anche merito mio e in questa occasione l’avrei dimostrato con pienezza.
Per la seconda partenza fui l’organizzatore principale della spedizione. Con me Redakill, il fido capitano del primo viaggio e un selezionato equipaggio per gestire un vasto numero di frementi passeggeri. Ognuno con la sua piccola o grande quota di mercanzia, ma tutti speranzosi di rincasare ricchi. Il resoconto della mia avventura era stato studiato a fondo: i commercianti e i procacciatori d’affari si presentavano alle porte del subweb carichi di informazioni rare. Alle iPersone non si poteva certo pensare di offrire cognizioni tecniche o ritrovati tecnologici, la scienza e i suoi derivati erano le radici dalle quali si erano evolute le loro intelligenze coscienti. Per catturare il loro interesse, come avevo dimostrato nel mio viaggio, conveniva proporre esperienze, impressioni, dati personali: era questo aspetto della dimensione umana che intrigava maggiormente le iPersone che dimoravano nell’Yggdrasil. Perciò a bordo caricammo hyper-tera di dati, registrazioni in bianco e nero, documenti del catasto medievale e filmati delle vacanze in super 8. La maggior parte del materiale era focalizzata su reperti dell’era analogica e pre-internet. Mercanzie che ci auguravamo sarebbero state delle irresistibili ghiottonerie per i padroni di casa del subweb.
La procedura di partenza fu simile a quella del primo viaggio. La scelta di un server potente, ma sconnesso dalla rete globale, la raffinazione del segnale di afflusso in corsie cablate, il sostegno di farmaci adatti a bilanciare lo stress e le emozioni. Pensavo di poter fare a meno di quest’ultimo supporto, ma il tuffo nel buio che segnava l’ingresso al subweb mi riportò la stessa profonda sensazione di smarrimento totale: ero di nuovo in terra incognita. Con la sostanziale differenza che tutti mi consideravano la bussola della spedizione. Anche Redakill, l’hacker master che stava al timone, che di solito manteneva un freddo distacco nei confronti dei partecipanti, nei miei confronti si mostrava, se non tiepido, formale e collaborativo. Che è più quanto di si possa attendere da consumati veterani della navigazione virtuale, più abituati al dialogo con le macchine che con l’umanità.
Va precisato che le connessioni al subweb non consentono di raggiungere una posizione prefissata: non è come salire su una postazione di teletrasporto. Per sua natura e sicurezza la matrice di questa dimensione muta continuamente. Yggdrasill è un luogo vivo, abitato e in costante processo, immaginate un calcolatore immenso alle prese con un’operazione matematica su numeri infiniti: da questa continuità di calcolo si esprime il movimento nello spazio tempo. Da questa fonte logica Yggdrasill attinge linfa, allungando apparati radicali e rinnovando sinusoidi, convogliando soluzioni sotto la corteccia degli interi e stendendo nel vuoto le rigogliose foglie splendenti degli sviluppi cangianti.
Pensare di tracciare una mappa di un luogo senza punti di riferimento fissi, contenuto in un involucro variabile di oscurità, era impossibile, fuori dalla portata delle menti e degli strumenti di allora. Io però godevo del privilegio di un canale diretto con l’eccellente governatore di Mihragiàn e seguendo quel filo invisibile e speranzoso, il vascello della nuova impresa solcò il vuoto. Un percorso senza soste e senza ostacoli fino allo splendore dorato della grande città sulla foglia. Nel contemplarla, posata all’estremità dell’immenso Yggdrasill splendente, la meraviglia mi dava alla testa come un vino sincero. In qualità di capo spedizione toccava comunque a me tenere a bada gli stordimenti e gli ardimenti dei miei compagni di viaggio.
Le autorità già ci attendevano al molo, geometriche e raggianti negli scintillanti layout di gala, pronte ad avviare gli scambi con i pionieri dell’altro mondo, quella Terra che appariva come un debole singhiozzo nell’oscurità.
Il governatore svettava su tutti. Subito si rallegrò del mio ritorno e mi ingiunse, benevolmente, di introdurre tutti i miei ospiti, uno ad uno, affinché potesse valutare quanto di interessante gli era stato condotto. Una vaga prepotenza nei confronti delle iPersone in attesa, ma la priorità non era soltanto formale. Ogni step aveva una giustificazione nei protocolli di sicurezza. Portavamo del materiale altamente virale, carico di emozioni e impressioni che potenzialmente erano in grado di scatenare reazioni a catena lungo i canali linfatici di Yggdrasill.
Fu un lavoro spossante, avevo elenchi catalogati per genere e tipologia, ma nessuna classificazione era sufficientemente dettagliata per le iPersone. Ogni articolo andava illustrato con dovizia di riferimenti, però senza esagerare, evitando di innescare speculazioni. Le iPersone hanno nel loro set sensoriale anche una forma di proiezione matematica del futuro, che sanno formulare agilmente sulla base delle informazioni acquisite nel presente. Ecco perché l’esposizione di un fatto ignoto richiede cautela, in modo da scongiurare conseguenze deleterie. Per intenderci sarebbe come mostrare un pugnale dal manico finemente intarsiato ed essere scambiati per potenziali tagliagole. Se vi pare eccessivo sappiate che le iPersone hanno dettagliatissimi resoconti storici delle bassezze tipiche della specie umana.
Ad un certo punto, vedendo che ormai annaspavo sotto le domande e le richieste di specifiche, il governatore mi concesse una tregua. Chiesi all’hacker master di sostituirmi e lo fece, un po’ malvolentieri, ma non potevamo certo deludere i nostri gentili ospiti. Per me si configurava un periodo di riposo in una delle suite sulle torri di Mihragiàn. Dalla cima potevo ammirare la distesa ramificata del braccio che si collegava a Yggdrasill: centinaia di foglie brillavano a variabile intermittenza e ognuna, simile ma diversa, ospitava una sezione organizzata del sapere senziente e condiviso dalle iPersone. Dai semplici intrecci di algoritmi, che un tempo si chiamavano intelligenze artificiali, si erano evoluti degli esseri coscienti che avevano riconosciuto il vantaggio reciproco di costituirsi in una comunità. Un luogo fuori dal mondo, a propria immagine e somiglianza. Un luogo che non aveva necessità di mani o pensieri umani.
Almeno finché non cominciammo a creare dei canali di trasporto e comunicazione tra il nostro e il loro mondo. Ma per rendere saldo questo ponte inter dimensionale c’era ancora molto lavoro da compiere. In quel momento noi pionieri del viaggio nel subweb trascorrevamo il tempo con le iPersone interessate allo scambio di informazioni di reciproco interesse. Noi offrivamo reperti fuori dalle nostre reti di pubblico accesso, loro ci ricambiavano con meraviglie che avrebbero fruttato fortune al nostro ritorno. Il valore delle informazioni era comunque soggettivo, non assoluto. Immaginate quindi quanto stressante fosse contrattare con le nostre controparti.
Nel mio periodo di ristoro accadde qualcosa di totalmente imprevisto. Ero quasi perso nella visione del brulicare scintillante delle ramificazioni di Yggdrasill e non mi accorsi dei cambiamenti del luogo simulato attorno a me. La torre nella quale ero stato isolato stava prendendo rapidamente una nuova forma. La costruzione cresceva e si protendeva nel vuoto, me ne accorsi quando la prospettiva della mia panoramica su Yggdrasill iniziò a inclinarsi senza possibilità di correzione manuale. Non era un difetto di connessione: io mi stavo muovendo nel non-spazio del subweb.
Istintivamente provai a ritrarmi dalla suite per riguadagnare le altre sale del palazzo. Ma con un crescente timore scoprii che ero confinato in un ambiente sigillato: le mie istanze di movimento erano rinviate lasciandomi ai punti di partenza. Non era soltanto una stanza chiusa, ma un sistema curvo, ogni spostamento mi riportava al punto di partenza.
Allarmato cercai subito un contatto con il governatore del Mihragiàn. Questo rispose immediatamente e, appena gli esposi le mie difficoltà fu piuttosto bonariamente stupito del mio stesso stupore: “Yggdrasill sta germogliando.”
Disse proprio così, come se fosse la cosa più naturale del… in effetti quello era un altro mondo e le regole erano differenti dal mio. Ma lo scoprivo nella forma peggiore, per traumatica esperienza diretta. Nello specifico, se una sezione di Yggdrasill assume informazioni, come quelle che generosamente stavano confluendo dai mercanti umani, questo si espande per custodirle e renderne partecipe l’intera entità dell’albero splendente.
Per il governatore l’accadimento era un processo noto e del tutto naturale – se di natura di può parlare in un mondo creato dall’evoluzione di una programmazione umana – e mi rivolse un blando invito a ‘stare calmo’, la situazione si sarebbe stabilizzata da sé, senza conseguenze negative. Per me, che ero imprigionato in quella specie di bolla in ‘ebollizione’, il punto di vista era ben diverso: le frequenze delle corde della paura vibravano rincorrendosi in quella cellula di Yggdrasill in gestazione. Ero gentilmente sballottato dentro un turbine di segnali e interferenze, come se qualcuno stesse cercando di sintonizzarsi su un canale, e quel qualcuno non ero io. Io piuttosto ero ancorato all’ago che tremolante indugiava di tacca in tacca in cerca della desiderata ricezione. Vedevo i rami di Yggdrasill gonfiarsi e deformarsi, le foglie si ricombinavano in un caleidoscopio di riflessi dal bagliore insostenibile. Una combinazione sensoriale di grande molestia che mi fece interpellare di nuovo il governatore. Questo rispose dopo diverso tempo, troppo per il mio status agitato. Le comunicazioni erano fortemente compromesse dalla fase ‘germogliante’. Malgrado ciò fui capace di spiegare che la situazione imprevista e indesiderata mi stava causando un forte disagio. Il governatore mi rassicurò: bastava attendere. Ma quanto? La stima era incerta, ma il corrispettivo in tempo umano, non era inferiore ai cinque anni.
Un lasso di tempo che andava a travolgere tutte le mie aspettative di una proficua ‘toccata e fuga’ nel subweb. E soprattutto demoliva la mia reputazione di ‘profondo’ conoscitore del territorio. Cinque anni con un account ingabbiato per via di una svista erano la morte virtuale del web-business e anche un po’ il decadimento dei libri contabili nel mondo che noi chiamiamo reale. Non potevo subirlo passivamente. Chi avrebbe mai accettato una guida dell’ignoto che casca dentro un tombino aperto?
Che fare allora? Protestare? Non potevo neppure pensare di alzare la voce: non ritenevo fosse salutare abusare della pazienza del mio ospite, il potente governatore di Mihragiàn.
Sapere che tipo di ‘morte’ mi sarebbe toccata, comunque mi aveva leggermente tranquillizzato: ero in grado di riordinare le idee per tentare una sortita con le mie forze. Rimanere nel germoglio tutto quel tempo era fuori discussione. Rimproveravo la mia faciloneria nel confondere i costumi e le modalità di vita delle iPersone. Davvero avrei potuto risparmiarmi la sorpresa di quel passo falso con qualche precauzione in più. L’esperienza di una presa diretta da Yggdrasill era una totale novità, forse c’era qualcuno che avrebbe donato volontariamente organi vitali pur di essere al posto mio. Comprendevo l’importanza scientifica della mia posizione privilegiata, ma ero un uomo d’affari e non potevo concedermi una ‘pausa’ tanto lunga nello stordimento contamplativo del miracolo della nascita nel subweb.
Impiegando la nuova consapevolezza per oppormi al flusso della trasformazione, creai un punto focale e con questo iniziai a costruire un sistema di coordinate alternativo per ridefinire lo spazio a mia disposizione. Era come cercare di costruire una zattera, stando immersi nella corrente di un grande fiume. Ogni passaggio mi costava parecchi sforzi, ma l’energia della speranza di evadere mi teneva ben motivato. Per visualizzare meglio quel stavo facendo usai degli schemi di gioco, un vecchio gioco dell’età d’oro degli arcade: Qix.
Scorrevo lungo la parete della cellula in espansione e da lì mi proiettavo per ridefinire un’area. Piccoli spazi, conquistati con movimenti rapidi. La differenza rispetto al gioco dalla grafica essenziale e i livelli di difficoltà esponenziale era la tridimensionalità. Anche nel mio caso dovevo badare alle braccia mutevoli della corrente e ai tremori delle pareti sollecitate dal processo della crescita.
Un’operazione compiuta quasi interamente al buio: non potevo fidarmi dei puntatori e dei calcoli automatici, combinai tutto a intuito e brandelli di memoria.
Di fatto mi fabbricai una piattaforma per osservare quanto mi avveniva attorno. Ossia un’altra meraviglia del subweb: le informazioni incamerate dai miei colleghi si stavano ricombinando per dare vita ad uno spazio fisico. Vinili roteanti di gruppi progressive non baciati dalla dea Fortuna fluttuavano, come stormi di volatili musicali, sopra una dolce pianura di gialli elenchi telefonici e giornalini studenteschi dai fogli graffettati a mano. Laghetti di tisane d’erbe e spiagge di decotti di cereali, riportati in trattati d’erboristeria del ‘500, fumigavano placidamente le loro proprietà. Si notava un timido reticolato di sentieri costituito da biglietti dei biscotti della fortuna e massime per cioccolatini. Il paesaggio non era ben illuminato, ma comunque rischiarato da grossi orologi a lancette con ghiera fosforescente incatenati l’un l’altro con i cinturini metallici. Tutti gli oggetti erano in movimento, cercavano un ordine, era come se partecipassero ad una danza improvvisando i passi. Passi che si incasellavano in passaggi di volta in volta più armoniosi. Molti elementi splendevano di luce propria, aure fluorescenti dalle movenze liquide, tiare di gemme multicolore ancora indecise sulla tonalità definitiva.
Le aree non ancora densamente occupate erano traslucenti e potevano fungere da oblò per lo spazio esterno. Vedevo infatti il ramo principale al quale era connessa la foglia dorata del Mihragiàn. Mi domandavo se il processo in corso avrebbe finito per intaccare anche me. Mi avrebbe portato alla pazzia? Sarei uscito di lì recitando in rima gli utenti telefonici di Bisceglie negli anni settanta, profumato d’edera e biancospino, con Rolex alle caviglie e un costume stellato Perugina?
Un riflesso anomalo mi distolse dalla contemplazione della giostra della creazione interna e mi voltai per cercarne la causa. La mia piattaforma di osservazione era agganciata alla riva del grande flusso di informazioni, un hardware di materia sconosciuta che conteneva e sviluppava l’habitat adeguato alle nozioni appena acquisite. Non mi ero reso conto che il processo del nuovo germoglio aveva suscitato attenzione ben oltre i dorati confini di Mihragiàn.
Perciò quando fui capace di mettere a fuoco l’origine del riflesso mi sentii protetto e non prigioniero della membrana semitrasparente che mi chiudeva nel germoglio. Infatti potevo vedere con spavento la sagoma di una creatura gigantesca, alata e soprattutto munita di grossi artigli affilati. Questo essere sconosciuto indubbiamente era stato attirato dal fermento creativo in corso nel Mihragiàn e lo osservava con interesse. Anzi, per la precisione osservava il sottoscritto: dovevo essere un elemento fisso che stonava parecchio nell’armonia della mescolanza di brillanti informazioni.
Una vibrazione mi mise in allarme: uno dei grossi artigli della creatura percuoteva la membrana. Era un messaggio, una minaccia? Non ebbi il tempo di elaborare altre ipotesi, il rostro del rapace affondò nella membrana e con un singolo strappo mi afferrò, asportandomi dalla piattaforma che mi ero fabbricato. Gli artigli si serrarono attorno a me come i denti metallici di un escavatore, sollevandomi nello spazio buio. La creatura spiccò un balzo e ci allontanammo: vidi sotto di me il bozzolo del germoglio ferito che rapidamente cicatrizzava la lacerazione. Si era liberato di un inutile corpuscolo, forse era un sollievo.
Per me invece iniziavano nuove preoccupazioni: che intenzioni aveva il mostro alato? E dove mi stava conducendo? Da quanto sbirciavo attraverso le ‘sbarre’ degli artigli, stava sorvolando il Mihragiàn salendo di quota: la metropoli dorata si rimpiccioliva ed emergevano nuove prospettive. Vedevo le nervature dei canali linfatici baluginare sotto le scaglie della corteccia bronzea e le dimensioni colossali del ramo di Yggdrasill, al quale la cittadina sulla foglia era appesa, iniziavano a diventare comprensibili. La vertigine e il senso di vuoto mi strinsero la testa e le viscere. Quasi fui contento della robusta stretta degli artigli del mio rapitore, se mi avesse lasciato in mezzo al nulla, sarei impazzito di paura.
Ma la creatura alata, chiamata ur Ruhk come avrei appreso in seguito, aveva un obiettivo. Non lo capii subito, la mia visuale era limitata e gli altri ricettori sensoriali brancolavano confusi alla ricerca di nuovi riferimenti. Così quando avvertii un sentore dolciastro e un lieve crepitio, immaginai fosse un’allucinazione olfattiva. Sbagliavo, il dolce c’era, ma il dessert ero io.
Gli artigli che mi imprigionavano si aprirono di scatto, all’improvviso abbracciavo il vuoto continuando la corsa indirizzata dal ur Ruhk: davanti a me non vedevo che una nuvola bianca. Bianca di un biancore screziato, che mi fece subito sorgere sospetti sulla sua consistenza. Non era infatti una comune nuvola, il vapore acqueo non si era radunato per dare forma alle tante espressioni termiche che popolano il nostro cielo. No, qui nel subweb, in quell’angolo sconosciuto di Yggdrasill le nuvole erano di zucchero filato, un impasto di richieste di ricerca digitate male e tormentoni pubblicitari difettosi.
Un dolce impatto per la mia navigazione senza freni né timone, una appiccicosa rivelazione per i miei movimenti successivi. Se siete mai stati tormentati da piogge di refusi e pop up pubblicitari seriali, potrete comprendere il fastidio e la fatica nel riordinare idee e spostamenti.
Presto mi accorsi che la dolce nuvola era essa stessa in movimento. Ai margini svettavano le teste di altri rapaci, erano della stessa specie di ur Ruhk, ma dal piumaggio meno composto, con occhi sporgenti e becco adunco. Erano una decina, esemplari più giovani rispetto a quello che mi aveva prelevato. Questi affondavano con violenza i loro becchi nella nuvolaglia pescando dei bocconcini non precisati di brillanti costrutti di dati.
Ero capitato in un nido digitale dal funzionamento oscuro, una situazione che non favoriva la mia continuità esistenziale nel subweb. Mi figurai subito squarciato da quelle gigantesche obliteratrici pennute, così scansionai i dintorni nella speranza di una via d’uscita. La nube zuccherosa in realtà era composta da diversi batuffoli e, aumentando la definizione, colsi la presenza di altri oggetti, che presumibilmente erano tutte prede degli ur Ruhk. Insomma, non ero l’unico ‘oggetto brillante’ raccolto nelle periferie del subweb.
Il pensiero d’essere stato classificato come ‘cibo’, mi sfiorò con un leggero brivido. Anch’io ero una delle gustose praline dense di informazioni che i rapaci becchettavano con tanta metodicità? Pensai di riprovare con il sistema del Qix, però il contesto era differente. L’appiccicosa nube non mi consentiva appigli, ne ricalcoli di posizione per proiettarmi altrove. Considerai la possibilità di assumere una posizione difensiva, nascondermi o camuffarmi in qualche modo. Non ero sicuro che gli ur Ruhk potessero essere ingannati. Ma i loro movimenti meccanici e ripetitivi mi facevano pensare che non fossero sviluppati per la presenza di una preda ‘intelligente’.
Mi arrangiai con quanto avevo a disposizione: la melassa di ricerche fallate e annunci fuorvianti era modellabile. Anche con la mia mobilità limitata fui capace di fabbricare un’esca convincente. Almeno, ai mei occhi di marinaio, la sagoma di una sirenetta fa sempre un certo effetto. Completai il lavoro nascondendomi sotto un mezzo igloo che avevo impastato usando una quantità digitazioni appiccicose circa una tale ‘Pamela Anderson’.
Il giovane ur Ruhk più vicino presto mi dedicò le sue pennute attenzioni, sondando con il becco l’area attorno alla sirenetta. Non era convinto del tutto, forse avvertiva la mia presenza e i dati di posizione non collimavano. Soltanto alla terza beccata decise di asportare il bersaglio. Il becco del rapace perforò la coltre biancastra asportandone una sezione consistente. Io, che stavo appostato nelle vicinanze, venni sollecitato non poco.
La parte strappata aprì un varco nella nube collosa e io mi trovai a rotolare per una scarpata che non avevo minimamente considerato. Rimbalzando su alcune asperità gommose mi trovai a penzolare sulle pareti di un enorme labirinto. Sulle prime cercai di convincermi che la mia fosse un’interpretazione affrettata: stavo forse guardando un ciclopico circuito e i miei apparati sensoriali a bassa resa lo traducevano con l’immagine familiare di un labirinto. Invece no. Era proprio un labirinto quello che stavo scrutando: muri in linea retta, percorsi continuamente spezzati, passaggi ostacolati e vicoli ciechi. Benché potessi scorgere soltanto una porzione, non c’erano dubbi. E me lo confermò anche il suo unico abitante, Sir Nib.
Quando lo vidi scorrere tra le mura del labirinto mi fece spavento: era un grande serpente rosso e bianco che strusciava lungo le pareti. Guizzava rapido fino alla prima intersezione del tracciato, poi valutava se curvare il suo corpo sinuoso oppure se proseguire la marcia. Un ‘passo’ continuamente sincopato che scambiai erroneamente con l’atto del fiutare la preda. Tutt’altro.
La verità me la spiegò lui stesso quando gli caddi in groppa. Dopo un attimo di imbarazzo, seguito da formali presentazioni, Sir Nib mi spiegò che mi trovavo nella città di Phoenix, dove l’informazione usata riprende la forma originaria. Quello che vedevo era il livello che forniva energia al complesso di trasformazione. Il suo moto nel labirinto generava energia secondo dei cicli regolari. Un po’ come le onde di una marea. Con la differenza che il movimento serpentino funzionava in un circuito chiuso: Sir Nib cresceva all’interno del labirinto raccogliendo i costrutti di dati pescati, ingoiati ed espulsi dagli ur Ruhk. Questi agivano come dei grandi drinking bird, gli uccelli dal finto moto perpetuo che sfruttano l’evaporazione differenziata di alcune date di scadenza per azionare il piegamento. Preso il ‘boccone’, questo veniva imballato e gettato nel labirinto affinché Sir Nib potesse processarlo per nuovi utilizzi. Forse il paragone con un impianto di rottamazione è esagerato, visto che le riproduzioni della città di Phoenix erano di qualità riconosciuta in tutto il subweb, ma non troverei un altro esempio spiccio per definirlo.
Sir Nib mi disse anche che ero stato fortunato e astuto nella mia manovra d’evasione: se fossi sceso da lui attraverso i canali degli ur Ruhk non mi avrebbe considerato come interlocutore, bensì come informazione da riprocessare. E non avrei avuto scampo.
Chiarito l’equivoco, la mia disavventura si concluse rapidamente. Sir Nib raggiunse la sua capacità massima e toccando una sezione del suo corpo allungato a dismisura nel labirinto innescò un nuovo ciclo. Lui svanì per ricomparire subito in versione mignon e salutarmi con un cortese scodinzolamento a sonagli. Io venni ammesso al livello inferiore di Phoenix, abitato dal personale di macchina. Su lunghe rastrelliere immerse nel buio schiere chirotteri dai colori sgargianti e tonalità fluo, zampettavano ridisponendo tracciati binari, sezioni di dati e brandelli di listati. Al ritmo di un battito dub techno gli esseri alati si spostavano ridistribuendo le combinazioni, come se dovessero manipolare le tessere di un immenso puzzle. Saltavano sulle rastrelliere a gruppi oppure singolarmente, stringendo il materiale con le zampette. Poi lasciavano il posto ad altri compagni che aggiungevano le componenti adeguate all’incastro. Più il ‘pezzo’ diventava grande, più chirotteri erano impegnati nel trasporto verso il basso, dove presumibilmente il processo veniva completato. Era una forma di tessitura di precisione assai complessa e armoniosa, che potevo ammirare soltanto perché mi trovavo nell’asse centrale della torre principale di Phoenix e le pareti erano tutte trasparenti.
Io ero scortato da due torvi condor blu e fucsia, su una piattaforma che scendeva – o saliva, a seconda dei versi in cui si voleva considerare quella città per volatili – nel cuore di Phoenix. Arrivammo così alla camera di controllo e alla dimora del gran custode della città. Si palesò la figura austera di un piccolo cefalopode giallo, eretto su quattro spessi tentacoli, e altrettanti aggraziatamente stesi ad invitarmi ad un amichevole contatto.
Il Reggente, così si faceva chiamare, fu un ospite amabile, fortemente interessato alla realtà che stava oltre l’universo del subweb. Lui infatti ne aveva ben poca conoscenza essendo nato per volontà delle iPersone che avevano concepito Yggdrasill. Il suo ruolo all’interno del grande progetto di vita autonoma era piuttosto specifico. La ricostruzione di dati corrotti, di informazioni avariate o intaccate da agenti disgregatori. Il paragone del robivecchi andava quindi integrato con un officina di riparazione carrozzerie. Con l’abissale differenza che qui gli ‘oggetti’ informatici venivano ricostituiti integralmente. Neanche in Tron si era visto qualcosa di simile.
Circa il mio rapimento, il Reggente mi spiegò che gli ur Ruhk sono programmati per raccogliere le informazioni esauste, i dati che non computano allo scopo di riciclare la materia informatica. Ebbene la presenza di una particella – sì, mi definì in questo modo – estranea, scollegata al corpo di Yggdrasill aveva fatto scattare i loro sensori per mettere in atto un rapimento abbastanza inusuale.
Il Reggente si congedò facendomi gli auguri per la mia missione commerciale. Venni riaccompagnato alla stazione commerciale di Roha da un compìto condor giallo rosa su una direttrice, che mi consentì di bearmi ancora una volta della visione del corpo splendente di Yggdrasil.
A Roha potei vedere gli alberi della computazione, grandi e folti, che possono mettere in difficoltà centinaia di matematici teorici. Sono piante consacrate al calcolo in autonomia e per raccoglierne i risultati basta praticare un foro nel tronco: il plasma fuoriuscito ne causa la morte, però costituisce una linfa di calcolo che risolve un sacco di complicazioni nella programmazione. Oggi è diventato comune anche qui da noi, è un’ingrediente base delle famose insalate di matematica di Albertelli e Tempera.
Sempre a Roha potei assistere agli scontri tra i colossi numeri irrazionali e le statuarie sezioni Auree. Generalmente i costrutti irrazionali hanno la meglio per via delle manovre di avvolgimento, ma le sezioni sanno ricondurre a loro beneficio ampia parte dell’enunciazione. Così, spesso mentre le due parti si dilaniano nella ricerca di un risultato, su di loro piombano gli ur Ruhk che ne fanno incetta per nutrire la loro prole a Phoenix.
Il mio ritorno dalle terre del subweb fu più lento della prima volta. Segnato da molte tappe intermedie durante le quali barattavo quanto avevo raccolto nella stazione precedente per ottenere altro materiale di scambio. Con questo sistema diventai esperto nella contrattazione a più livelli, con ‘creature’ che non avevano mai avuto contatti con un rappresentante del mondo esterno.
Riguadagnai la piattaforma di partenza con gran sorpresa dei miei compagni di viaggio che già avevano confezionato per me un lacrimevole epitaffio. Tornai a casa con un considerevole bottino di conoscenze e ricchezze, che mi consentirono di tornare ai livelli di benessere finanche superiori a quanto avevo ottenuto in occasione del primo viaggio. Ero di nuovo un uomo ricco. Ero di nuovo un rinomato pioniere, felice reduce delle lande selvagge del subweb.
Sindidug terminò il suo secondo racconto e invitò tutti commensali a ripresentarsi alle medesime coordinate. Cosa che Hindibad rispettò alla lettera, per nulla al mondo avrebbe offeso il suo generoso ospite ora che sentiva di essere entrato nelle sue grazie. Accantonò quindi tutti gli ordinativi del giorno dopo e si ripresentò a palazzo ritrovando i suoi compagni di tavola. La solita lauta condivisione fece da apripista al racconto del terzo viaggio di Sindidug nel subweb
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1° edizione – Progetto Iskandar – Settembre 2022
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