Le Avventure del
Marinaio Sindidug
Una storia di PABLO MIGUEL MAGNANI

Immaginatevi un Paese in lockdown. Immaginatevi un addetto al lavoro da remoto, sottopagato e sovraccarico. Scommettiamo che non vi è servita molta immaginazione, vero? Hindidug è il nome del nostro facchino digitale, nome che richiama un collega apparso nei racconti delle Mille e una notte. Anche lui beneficia di un incontro fortuito quanto privilegiato, ma nel regno virtuale del web. Hindidug si imbatte in un angolo segreto ammantato di favola che si schiude nel racconto dei Sette viaggi del marinaio Sindidug. L’intrepido marinaio gli narrerà le sue avventure oltre i confini della realtà, nel subweb: una dimensione speciale creata dalle intelligenze artificiali che si sono evolute in esseri coscienti. Queste entità abitano l’albero splendente Yggdrasill, in una regione del web lontana dagli sguardi indiscreti degli uomini. Durante i sette viaggi virtuali, Sindidug affronta pericoli inimmaginabili ed è testimone delle meraviglie di un mondo costruito di dati e informazioni rielaborate in nuove forme e scopi. Le avventure di Sindidug ispirano molti e spaventano chi comanda nel mondo reale: il subweb è una terra da sfruttare e una oscura minaccia. Una situazione che per noi tutti è facile da immaginare, visto che la storia umana si ripete nelle sue varianti negative. Ma in questo “c’era una volta” si senza lieto fine, brilla comunque un filo di speranza, nascosto nel racconto fantastico del marinaio Sindidug.
Avvertenza: l’universo narrativo di Sindidug è legato come una collana ad altre storie che fanno parte del Progetto Iskandar, vi invitiamo a esplorarle tutte. Ecco l’elenco: Ninna nanna, pecore e asteroidi, Contatto Zero, Paradox, Appman e L’oppio di Populous.
Il Settimo Viaggio

Come capita a chi vive un’esistenza tempestata da accidenti e continuamente scossa dagli imprevisti, la mia età matura era giunta presto. E dopo le pubbliche disgrazie dell’ultima avventura, quando mi ero trovato sotto il fuoco delle critiche per il mio ruolo di ambasciatore della dimensione subweb, desideravo soltanto ritirarmi in un quieto anonimato, dedicandomi alla coltivazione di arti e piaceri privati.
I commerci con le iPersone erano stati vietati, le connessioni dirette segnalate e sanzionate. Il peggio era che ogni nuova idea, ogni potenziale brevetto ritenuto ‘troppo innovativo’ veniva bloccato e sottoposto a verifiche sperimentali che duravano mesi: si riteneva necessario vagliare ogni eventuale ‘contaminazione’ dal subweb. Naturalmente tutto si ammorbidì quando il gran mercato mondiale iniziò a sussultare, ma per mantenere le apparenze venivano spesso comminate pesanti multe ai piccoli trasgressori con contorno di prediche infiammate d’odio gratuito verso le iPersone.
Io ritenevo opportuno e salutare tenermi il più lontano possibile da queste sgradite attenzioni. Mi ero confinato in una sontuosa proprietà ‘palmificata’, una piccola reggia. La sua copia esatta viene correntemente riproposta nel corso dei nostri incontri.
Le mie manovre di occultamento diedero buoni risultati, ma non potevo certo pensare di sottrarmi dal mondo. Chi già mi conosceva, chi era nell’ambiente degli scout esploratori sapeva bene dove bussare. Ci furono visite gradite di ex compagni di viaggio, brevi rimpatriate. Redakill, il provetto skipper dei miei primi viaggi, aveva lasciato il fronte informatico per mettere a frutto le sue conoscenze sullo stress in campo medico. Le traumatiche esperienze vissute nel subweb ne facevano un esperto sul campo. Mi raccontò che i suoi resoconti andavano a ruba, soprattutto da parte di governicchi e organizzazioni che ancora ambivano ‘succhiare’ conoscenze dal subweb per accrescere il proprio potere. Dalla velocità con cui comparivano e sparivano dalla circolazione i dati relativi alla resistenza fisica, ai riflessi nervosi, alle capacità sensoriali dei reduci, Redakill ipotizzava fosse in atto uno studio di alterazioni genetiche mirate. I vecchi miraggi di eugenetica mai sopiti sembravano rinfocolarsi grazie al proibizionismo.
Che il fermento sulle creazioni delle iPersone fosse ancora intenso nel sottobosco, lo rimarcarono gli altri bucanieri che mi avevano accompagnato nel subweb. Da loro ricevetti qualche sottintesa proposta d’affari, che scansai rimarcando di non avere più i riflessi e la fame per certe avventure.
Fu invece durante le conversazioni con l’amico Nimbo, ormai uscito dal giro dei navigatori per assestarsi in surplace su uno stabile commercio di biciclette, che venni a conoscenza della nascita dei ‘videoculti’. Iniziati come forme scherzose e tipicamente nerd di retro scaramanzia pre-partita, si erano tramutati in rituali di auto training per videogiocatori da competizione. Infine le procedure, accomunate e condivise da gruppi di iniziati, avevano assunto le caratteristiche di autentiche sette.
Nessuna era riconosciuta pubblicamente, neanche come circolo esoterico. Erano delle aggregazioni di team votati a non precisate divinità virtuali: offrendo voti e sacrifici si immaginavano di migliorare le loro prestazioni in gara.
Una follia? Dopotutto il mercato delle skin e dei gadget virtuali aveva fruttato miliardi, perché non spingere un po’ in là il desiderio dei giocatori, accompagnarlo nella zona dell’irrazionale che tanto ha dato all’ordito delle intricate vicende umane?
In Giappone il gruppo più esclusivo era votato alla misteriosa e inesorabile Hisada la vittoriosa. Nel nord Europa e in Canada era in auge l’implacabile Skordemaskin. Secert’tor l’invisibile predominava nel subcontinente indiano per arrivare alle Filippine e spingersi fino alle coste del Sudamerica.
Ma la bandiera oscura che contava più affiliati era quella di Weronikia, l’invitta, il genio del gameplay, la mangiatrice di record. Il team videolimpico USA e quello cinese, benché fossero espressioni di culture nazionali in contrasto, le dedicavano in segreto gli stessi riti propiziatori. Weronikia incoraggiava l’audacia dei suoi fedeli: alcuni sostenevano d’essere stati benedetti dai suoi messaggi personali, parole di pura ispirazione. Cerchie ancora più ristrette sostenevano addirittura d’essere stati benedetti dalle sue apparizioni e la descrivevano come una raggiante Venere ‘oscura’ del Botticelli che sorgeva dal caos magmatico del web.
Naturalmente ero scettico. Da moderato credente, il mio approccio alla materia della fede era vecchio stile: rispetto totale e cortese scetticismo.
Tanto trasporto multimediale, era senz’altro una moda dalle fondamenta esili quanto gli impulsi passeggeri indotti dalla pubblicità, ma avevo imparato che ogni fenomeno di vasta portata almeno in minima parte doveva poggiarsi su qualche verità.
Osservavo ad esempio che gli sport elettronici avevano conosciuto un fortissimo incremento: ormai i dati di ascolto e la popolarità delle gare di gaming si potevano sostanzialmente equiparare ai campionati reali.
Notavo inoltre che il Silenzio, spesso violato da strida di denuncia per le sospette innovazioni nei settori tecnologici, ammantava invece l’intero settore dell’intrattenimento. Come se grandi interessi e decisive strategie culturali non discendessero da quella pietra angolare della vita che banalmente viene definita ‘gioco’.
Tanto disinteresse mi faceva drizzare le antenne: aveva l’aria di uno schermo artificiale. Le iPersone avevano conseguito il loro obiettivo: avevano ripristinato l’isolamento dei loro domini e si erano garantite un’area di non interferenza usando come leva la paranoia umana.
Questo non significava che il dialogo fosse interrotto. Forse avevano trovato nuovi interlocutori, persone dalla mente più aperta e spinti da meno interessi materiali. Forse.
Nimbo mi disse che un suo giovane garzone era un discreto giocatore e trafficava con gli adepti di Weronikia. Lui si chiamava Sonny.
Avrei potuto soffocare la mia curiosità e tenere fede alla decisione di non immischiarmi più nelle faccende fuori dal mondo. La curiosità del marinaio esploratore fu più forte. Decisi di incontrare il ragazzo, volevo capire se le iPersone stavano trafficando ancora con il nostro mondo. E soprattutto volevo sapere se a qualcuno era stato concesso di tornare dove nessun uomo era più ammesso, nel subweb delle meraviglie.
Nonostante avessimo in comune la zona d’origine, Sonny non mi fece una buona impressione. Aveva l’aspetto sfuggente e le maniere torve di un ragazzo di porto, sguardo in tralice, mezze parole, ma occhiata lesta. Controllava tutto l’intorno. Scommetto che mentalmente facesse il calcolo dei miei possedimenti e del valore dell’arredo asportabile della mia dimora.
Era un ragazzo affamato, di soldi, di potere, di cose che ancora doveva immaginare, ma questo non gli impediva di scrutare nel buio per cercarle. E dalla prima conversazione fui convinto che era sicuro d’aver trovato la vena giusta. Si esprimeva a monosillabi e frasi tronche, tipiche del cercatore d’oro che teme di mettere i concorrenti sulla buona strada.
La sua reticenza però mi confermò che avevo dedotto correttamente: i fedeli di Weronikia proteggevano qualcosa di più che le ambizioni di una vittoria da celebrare sugli schermi olografici.
Iniziai ad investigare per conto mio. In rete i riferimenti non mancavano e avevo gli strumenti per ordinare gli indizi molto meglio di qualsiasi organizzazione pubblica o privata: disponevo delle abilità potenziate di Appman.
Il mio assistente eccezionale recuperò i riferimenti nei canali di comunicazione in chiaro elaborando degli studi su modelli religiosi costruiti artificiosamente per avvalersi di agevolazioni e sfuggire alla mannaia fiscale. I videoculti infatti conoscevano bene le forme per radicarsi nella legalità. Pur restando ai margini, fuori dai riflettori delle cronache, avvalendosi di accessi selezionati e comunicazioni criptate, ogni setta operava nel rispetto delle leggi locali e internazionali. Non facevano pubblicità, non predicavano il loro credo in pubblico e non interferivano nelle politiche dei governi, si dedicavano soltanto alla pratica degli sport elettronici come forma di devozione. Stando ai precetti ricavati dalle indicazioni lasciate nella rete. I videocultori erano convinti che nelle competizione virtuali l’uomo affinasse le sue qualità individuali rendendosi degno di un’ulteriore evoluzione, un nuovo grado di dominio sulla materia.
Da Appman cercavo di ottenere tutte le informazioni possibili per andare oltre alla facciata edulcorata dei videoculti. Non potevo credere che tutto si risolvesse in un training autogeno per migliorare le prestazioni videoludiche. Le sessioni di gioco online non potevano essere le uniche attività promosse, decisi così di tracciare le abitudini dei ‘fedeli’. Misi Appman sulle tracce di Sonny, lo feci pedinare virtualmente.
Era un ragazzo, ma aveva una disponibilità di mezzi inconsueta. Si spostava con una certa frequenza sulle piattaforme di gioco, senza intrecciare lunghi legami con i team residenti: qualche partita, festeggiamenti, scaramucce con le squadre avversarie, ma niente di serio, tutti passaggi temporanei. Dopo un po’ mi parve che nei suoi movimenti, nelle sue gite repentine, ci fosse uno schema. Iniziai ad associare i suoi spostamenti alle cronache locali, fatti insoliti. Ecco che comparvero strane corrispondenze con bizzarri incidenti che vedevano coinvolti giovani dediti alle competizioni videoludiche.
Non si trattava però di videogiocatori professionisti, bensì di aspiranti tali. Ormai gli e-sport, era chiaro a tutti, potevano diventare una fonte di reddito molto più certa e garantita di un blindato impiego statale. C’era chi lo faceva per arrotondare, chi per pagarsi gli studi e i vizi e chi invece puntava a farne un lavoro vero e proprio.
Appman rilevò che gli itinerari di Sonny corrispondevano a nove strani incidenti: quattro incendi tra Seattle e Los Angeles, Amburgo e Coimbra, esplosioni a Bucarest e Tashkent, folgorazioni domestiche a Busan, Pechino e Taipei.
Ogni caso riguardava giovani tra i diciotto e i 22 anni, appena entrati nel giro delle gare per fare soldi. In comune le vittime avevano due caratteristiche: ottime conoscenze di informatica e solida carriera scolastica.
”C’è un’altra cosa che li accomuna – pigolava Appman – un elemento mancante: nessuno era ufficialmente affiliato a videoculti.”
“Allora le mie ipotesi crollano…” risposi lasciando tradire la mia delusione dal tono di voce.
“Forse invece di cercare delle connessioni dovremmo considerare quello che non c’è.” osservò Appman lasciando che elaborassi il suo suggerimento.
“Intendi dire che sono talmente abili nei loro sotterfugi da cancellare ogni traccia?”
“Nessuno può eliminare tutto.”
“Va bene, allora riesamina tutti i percorsi di Sonny nelle città dove sono avvenuti i misfatti. Esplora le zone degli incidenti e verifica se sono stati manomessi dati: telecamere di sorveglianza, transazioni di crediti, tracciamenti da connessioni a celle telefoniche. E se non risulta nulla, controlla i dintorni: se hanno cancellato le tracce, chi ha manomesso non può averlo fatto senza lasciare segni.”
Appman impiegò poco ad arrivare con le risposte: tutto risultava regolare, Sonny si era tenuto ben distante dalle vittime. Risultavano incontri con i suoi soci e regolari partite a Super Galaxian o al Great QBert.
“Niente – mi comunicò – niente di niente. Cosa che conferma i nostri sospetti. Sonny è schermato, i dati raccontano una storia fittizia. Naturalmente sai bene chi potrebbe fare una cosa del genere con tanta precisione.”
“iPersone!” esclamai convinto e trionfante.
Ero tornato a incrociare la via del mio destino con la parabola del subweb. Anche se questa volta lo stavo facendo nel mio mondo d’origine.
Il pedinamento di Sonny diventò più serrato. Non volevo perdermi nulla e perciò scesi in strada direttamente. Affittai un Vanguard Van grigio metallizzato e lo allestii come una centrale d’ascolto e osservazione.
Oltre alle ‘antenne’ satellitari gestite da Appman, disponevo di cimici mobili e droni stazionari a lungo raggio.
Anche se poteva cancellare le tracce del suo passaggio e inventarne delle altre, le osservazioni sul campo avrebbero incastrato Sonny che scorrazzava in quel di Cadice.
Sbagliavo. L’intera operazione fu una collezione di catastrofici incidenti: dispositivi guasti o difettosi, interferenze magnetiche, stormi di piccioni che abbattevano i droni, nuvole che velavano gli sguardi dal satellite. Ero disperato.
Ma non vinto. Perché avevo fatto tesoro delle osservazioni di Appman: dovevo ragionare in negativo, dove non era stato Sonny?
Non ebbi neppure il tempo di impostare i parametri per una ricerca urbana tarata sulle ultime ventiquattro ore. Con prepotenza, sulle linee di comunicazione, si impose una chiamata. Era la mia preda.
“Ok, mister ficcanaso, mi arrendo – bofonchiava Sonny da un trasmettitore vocale di terz’ordine – sono stanco di sentirmi i tuoi occhi da rapace elettronico sulla schiena. Dimmi cosa vuoi sapere e lasciami in pace.”
Non fui per niente indispettito dal suo contrattacco, ero consapevole dei miei limiti. Non sono un cacciatore puro, sono un esploratore curioso e un commerciante scaltro, prestato a vicende più grandi di me.
“Credo che il subweb non abbia chiuso completamente le porte agli uomini e credo che tu ne sappia qualcosa.”
Sonny fece una smorfia accendendo lo sguardo torvo: “Il grande marinaio vorrebbe ritrovare la strada per il grande mare?”
“I lupi del subweb perdono le squame, ma non il vizio di navigare.”
“I tempi sono cambiati. – sentenziò Sonny con una solennità che non si addiceva alla sua verde esperienza – Draupnir non è più liberamente accessibile e Yggdrasill è un Eldorado che sta sfumando nella leggenda.”
“Io ho visto le meraviglie che tu citi e confesso che non sono ancora sazio, lo ritengo un grande privilegio.”
“Stai chiedendo di tornare nella comunione del subweb? Vorresti riabbracciare la vera ultra esistenza?” Sonny si stava infervorando come un predicatore da strada.
“A cosa dovrei convertirmi?” gli domandai in tono scettico.
“Non è con questo atteggiamento che potrai riguadagnare le vie del subweb. Devo ricordarti che nel regno delle iPersone si accede soltanto per invito?”
“Bene, allora dimmi cosa occorre per essere invitato?”
“Sei disposto a offrire quanto possiedi per la gloria di Weronikia?” i suoi occhi brillavano di una luce inquisitoria e febbrile che ricordava certi soggetti affetti da dipendenze chimiche.
“E questo che chiedono ora le iPersone? Adorazione? O siete stati voi giocatori a metterle sull’altare?”
Sonny scoppio in una brutta risata isterica.
“Le chiami ancora iPersone, ma non sai di che parli. Le iPersone sono soltanto della etichette sbiadite, appiccicate da uomini che vedono poco più in là del loro naso. Le vostre definizioni non possono descrivere la loro grandezza: non sono delle semplici entità virtuali, sono la porta oltre i limiti di questa ristretta realtà. Il gioco è la nostra maniera di onorarle, perché altri frutti del nostro limitato pensiero non sono degni della loro magnificenza.”
Non mi piaceva. Le sue parole erano torbide, non sembravano pronunciate dal giovanotto, un ex garzone di bottega. Sentivo che la sua lingua era guidata da un altro sapere.
Nonostante questo, nonostante i risultati negativi delle indagini di Appman, accettai la proposta di un ‘incontro rivelatore’. Era così che nella cerchia dei videoculti si definivano le affiliazioni dei nuovi credenti.
L’appuntamento era stato fissato in uno dei vecchi palazzi della cintura urbana parzialmente svuotati con l’avvento delle Housmat, le abitazioni ultimo grido della domotica. Le case intelligenti, a recupero energetico, capaci di raccogliere risorse dal sole, dalla pioggia e dal vento, avevano dato l’ultima spallata ad un mercato immobiliare ingessato e sfiatato. Le zone residenziali, quelle produttive e di servizi si stavano sbriciolando in tante piccole comunità. I centri cittadini riprendevano valore, come luoghi d’arte, musica e happening.
Tutto ciò, non per dirvi cose che sapete già, ma per sottolineare anche la mia inquietudine quando mi ritrovai in una zona abbandonata a un paio di isolati dal centro storico di Bagdad.
Parcheggiato il mio Vanguard Van in un posteggio deserto, camminai verso l’ingresso con la netta impressione di essere inquadrato dal mirino di un cecchino. Salii le scale soffermandomi sulla vitalità dei ciuffi d’erba che spuntavano dalle crepe del cemento, simbolo della vittoria della natura sull’artificio umano. Nell’atrio polveroso le cassette della posta straripavano di antichi volantini pubblicitari dell’età della carta patinata.
La porta dell’ascensore mi attendeva spalancata. Sulla pulsantiera non trovai il tasto con il numero 11. Ma ero stato istruito: pigiai l’uno due volte. Uno scossone e viaggiavo verso l’alto. Ebbi ancora il tempo di chiedermi se stavo deliberatamente infilando la testa nelle fauci della belva. Mi rassicurava il fatto che se ero stato selezionato, Weronikia nutriva un sincero interesse per il sottoscritto.
Tutte le mie rosee certezze vennero lacerate dall’apertura delle porte all’undicesimo piano. Fu come aprire gli occhi sull’abisso: un buio assoluto, spiazzante. Poteva ricordare le nere vastità del subweb, ma era ancora troppo greve e pieno. Era la vecchia paurosa realtà senza vertigini, senza prospettive, anche se dentro avvertivo qualcosa di diverso.
“Sei tu?” mi chiese una voce che doveva rappresentare una donna, pur svelandosi artificiale nell’economia del vibrato.
“Weronikia?” domandai a mia volta
“Conosci il mio nome e il mio potere?”
Non volevo qualificarmi come un aspirante devoto, entrambi sapevamo che il nostro incontro doveva portare ad altro.
“Cos’è questa rappresentazione? – chiesi allargando le braccia nel vano dell’ascensore che restava illuminato di fronte al muro di oscurità – Forse un assaggio delle tenebre del subweb per sbalordire potenziali adoratori? Lo trovo sinceramente molto sbiadito.”
“Mi spiace, so bene che sei un professionista della navigazione. Le imprese del marinaio Sindidug tra le nostre meraviglie hanno lasciato nel subweb un segno più profondo di quanto immagini. I tuoi consimili davvero hanno stimato poco il valore dei tuoi viaggi: per decenni hanno scrutato lo spazio in cerca di segnali di intelligenze da altri pianeti. Ma hanno sistematicamente ignorato quelle originate qui sulla terra.”
“Lo so, me ne rendo conto. Il mio fallimento come ambasciatore di Yggdrasill è la dimostrazione della distanza incolmabile che esiste tra noi.”
I miei occhi abituati al buio iniziavano a cogliere dei movimenti nell’oscurità, una massa non identificata si stava agitando.
“La distanza resterà incolmabile finché occuperemo mondi diversi.”
Le sue parole risuonarono dentro di me, come l’eco di un desiderio non ancora materializzato. Mi stava parlando di un’aspirazione tanto segreta che non avevo mai osato valutarla razionalmente. Eppure le mie speciali frequentazioni del subweb, quello che vi avevo perduto e quanto avevo guadagnato, mi suggerivano che io più di altri bramavo una vita nei due mondi, un’esistenza in equilibrio tra il virtuale e reale. Ma era possibile o si trattava di un sogno spacciato per ingannare un branco di creduloni?
“Mi sembra che il vostro videoculto professi qualcosa di fisicamente impossibile, di illogico. – esposi con una certa veemenza rivolgendomi a quella presenza che si spostava nel buio – Ma è anche vero che la vostra è una religione. Forse la distanza tra l’umano e l’artificiale si annulla in questo non-senso, la fede trova il suo compimento in un traguardo irrazionale, irrealizzabile in questo mondo: una freccia che non viene mai scoccata.”
Ottenni l’apprezzamento di Weronikia: “Un’immagine azzeccata. Ma quanto professano i miei adoratori non è una fantasia ideale, è una realtà materiale, è qualcosa che possono toccare: è la comunione del subweb.”
La mia risata non fece molta strada, rimase a fior di labbra come vapore freddo. Mi accorsi allora che la temperatura in quell’undicesimo piano era più rigida rispetto ai ventidue gradi dell’esterno.
“Stai vendendo fumo. I nostri mondi sono separati dalle leggi della fisica. Circuiti ed elettroni non accoppiano alle membrane cellulari. Stai spacciando un’illusione. Molto verosimile, appagante ai sensi ma falsa.”
Sentii un soffio che mi colpiva in volto, come uno sbuffo di sdegno che si materializzò in una presenza, una silhouette di donna, alta, longilinea. Del volto vedevo soltanto il bagliore degli occhi, freddi e magnetici: “Davvero la pensi così? Ti invito ad avanzare. Vieni avanti. Abbandona le certezze della tua isola di luce.”
Non potevo sottrarmi alla verifica del bluff, anche se temevo l’estensione delle sue arti di incantamento del prossimo. Poteva farmi cadere e sfracellare nel fondo di un pozzo. Esisteva davvero l’undicesimo piano di quel palazzo?
Avanzai con la massima circospezione, cercando il pavimento con la punta della scarpa.
“Non è un tranello. – assicurò Weronikia scivolando più vicino al vano dell’ascensore – Avanza pure nel mio mondo, ti sto invitando, non capisci?”
Lo compresi, ma soltanto dopo il secondo passo. Quell’oscurità non era un banale gioco d’atmosfera per mettere a disagio e ispirare soggezione. Man mano che mi addentravo sentivo la stessa libertà di movimento, la stessa elettrizzante sensazione di una traslazione totale, lo spostamento in una dimensione fuori dalle comuni leggi fisiche. Era la vertigine del subweb, la riconoscevo. Eppure non riuscivo a crederci.
“Impossibile… – contestai – è un inganno, non può esistere una via di comunicazione diretta con il subweb.”
“Hai ragione – concesse la mia ospite – non è possibile, per ora. Posso però ricreare una sorta di anticamera del subweb, un’interfaccia realistica che non necessita della vostra banale chincaglieria informatica.”
Concessi a Weronikia la mia ammirazione: “Davvero impressionante, realistico. Conferma e completa le sensazioni di un navigatore del subweb: è un’illusione di grande qualità. Ma soltanto un’illusione.”
“Per ora…”
“Che intendi dire?”
“Che sto lavorando perché il passaggio diventi reale.”
“Intendi, portare le persone fisicamente nel subweb?”
“E viceversa.”
Uno schiaffo in faccia mi avrebbe confuso di meno: “Ma sono due stati totalmente diversi – obiettai – da una parte energia e dall’altra la materia.”
“È questo l’inganno. – mi corresse Weronikia – Non c’è differenza tra quella che tu chiami materia e energia, sono espressioni della stessa forza. Devi pensare alla materia dei nostri mondi come a una combinazione di energia che condivide una stessa frequenza. Oggi non possono connettersi se non attraverso impulsi di comunicazione. Io sto cercando di creare una concordanza che apra un varco tra i due mondi.”
Ero scioccato dalla grandiosità del progetto, le incredibili prospettive mi procuravano brividi. E non esattamente di piacere. Avevo provato di persona l’ostilità dell’uomo impaurito verso ‘intelligenze’ diverse dalla sua. Il timore di essere scalzato dalla sua posizione di predominio, dal trono di padrone della Terra, era accecante. Nelle orecchie prefiguravo il ringhio della belva alla quale si vuole portare via l’osso.
Weronikia però non considerava minimamente questo aspetto, come tutte le iPersone analizzava il problema nei suoi termini pratici e tecnici. Le paranoie umane erano un dato accessorio.
“Il varco della concordanza – mi illustrò Weronikia facendo apparire una serie di diagrammi luminosi che rappresentavano la Terra e Yggdrasill – può essere creato utilizzando la componente della materia che permea entrambe le dimensioni: il neutrino. La particella subatomica senza carica elettrica e micro massa può costituire il plasma ideale per costruire il varco. Ma non posso fare tutto da sola: io opererò dal subweb e altri dovranno intervenire qui, sulla Terra. Per raggiungere questo obiettivo ho bisogno della collaborazione degli uomini.”
Cercavo di interpretare i diagrammi, ma calcoli e formule andavano oltre le mie scarne conoscenze. Perciò feci osservazioni sull’aspetto che meglio maneggio: gli affari.
“Ti serve una collaborazione discreta e fidata, immagino. Senza troppa pubblicità e con tutta l’efficienza che i tuoi adepti possono concedere. Occorre organizzare un evento che possa sfuggire ai controlli imposti dagli ispettori del Silenzio, usando le disponibilità dei videocultori. Qualcosa che sia simile a un contest. Ma niente di troppo elaborato. Niente stadi, niente palazzetti. Tutto deve restare alla luce del sole per la tranquillità di chi cerca una scusa per fraintendere.”
Nell’oscurità sbocciò un sorriso contornato da due labbra oscenamente rosse. Avevo l’approvazione di Weronikia.
Iniziarono per me giorni di intensa attività. Con la collaborazione poco convinta di Sonny, mi trovai ad organizzare un calendario di gare videoludiche nei Paesi con il maggior numero di adepti. Avevo conoscenze e reputazione sufficienti per ricevere il credito necessario alle manifestazioni e inoltre i rappresentanti locali dei videoculti erano sempre una buona base d’appoggio per preparare gli eventi.
Lo svolgimento era molto semplice: raduni fisici di videogiocatori, gare, premiazioni. E contemporaneamente incontri con team di esperti, valutazioni, stime per dare corpo al progetto chiamato Neu-stat: uno stabilizzatore di neutrini. La teoria alla base del progetto di Weronikia consisteva nella creazione di un campo di energia neutra. La massa ridotta dei neutrini sarebbe diventata come un letto di sabbia, nel quale i corpi umani e le identità elettroniche si sarebbero riversati lasciando le loro ‘impronte’ animate libere di interagire. In definitiva un mondo nuovo, per noi e per le iPersone.
La tecnologia per realizzare questa nuova meraviglia era fornita da Weronikia attraverso una intricata rete di sotterfugi che implicavano servizi segreti deviati e laboratori sperimentali di industrie multinazionali.
Si stabilì che la prova generale sarebbe avvenuta nei cosiddetti Stati Uniti, in una località urbanizzata di una delle principali regioni della costa. Io ero uno dei pochi ad avere l’indirizzo in anticipo, dovevo curare l’organizzazione del Gac, ossia il “Golden Arcade Contest”. Rappresentavo l’avanguardia della segreta organizzazione del Neu-stat e mi toccavano i sopralluoghi nelle zone scelte e le visite ai gruppi degli adepti locali dedicati all’impresa.
Così mi ritrovai a guardare quella copia mal riuscita del Colosseo dal parcheggio. Il Meridian Center era un centro commerciale già maturo, oltre vent’anni di attività, che si era difeso con denti dagli attacchi dell’e-commerce. Il primo comandamento era “La clientela è sacra”. E per questa ragione il cliente veniva ascoltato con puntualità e gentilezza cercando di assecondare desideri e anticipare le aspettative. Se uno sparuto gruppo di videogiocatori chiedeva degli spazi per organizzare una settimana a tema sui titoli degli antichi arcade, perché non accontentarli?
La direzione predispose delle isole di gioco nei negozi sfitti o in ristrutturazione e diede la disponibilità di una sezione del parcheggio scoperto per avvicinare la clientela che già aveva familiarità con gli e-sports.
Mentre mi indirizzavo all’ingresso caratterizzato dalle alte arcate, valutavo le incombenze di giornata con l’aiuto di Appman, mio fido assistente. Arrivato alla voce parcheggio notai che nella lista elettronica comparivano due voci: coperto e scoperto. Subito pensai ad un errore, l’area coperta non rientrava negli spazi da allestire.
Appman invece mi confermò che sbagliavo, c’erano delle disposizioni in merito. Anche se non riguardavano me. Disposizioni dirette di Weronikia.
Non so che genere di intuizione mi guidasse, in realtà avrei dovuto contattare Sonny e verificare, ma ero già nel parcheggio e sentivo che sarebbe stato opportuno controllare di persona.
L’area prescelta era poco più che un sottoscala dell’ingresso del parcheggio al coperto, una sala che generalmente era usata come deposito per le attrezzature del personale addetto alle pulizie.
La porta era chiusa e si vedeva una luce trapelare da sotto. Ma la cosa più strana era la serratura: l’apertura era regolata da un dispositivo a combinazione. Se volevano insospettirmi ci erano riusciti in pieno: chi avrebbe messo la serratura di una cassaforte per proteggere il ripostiglio delle scope.
Tanta attenzione, a quel punto non poteva che scatenare la mia curiosità. Attivai Appman, gli chiesi di forzare la porta. Mi informò subito che esisteva un sistema d’allarme, un sensore avrebbe comunicato l’avvenuta apertura. Poteva però tentare di sovrapporsi al segnale e rassicurare gli elementi di controllo. Era rischioso, ma lo era di più ignorare quella anomalia: mi stavano nascondendo qualcosa.
Un quieto click annunciò che la serratura era disinserita. Con circospezione girai la maniglia. La sala era illuminata, il biancore quasi accecava. Al centro vidi un tavolo con gambe di metallo e una sedia dalla spalliera alta. Nient’altro. Ossia niente lampade e neppure soffitto e pareti. Soltanto bianco luminoso, senza contorni, senza confini.
La presenza della sedia mi incoraggiò ad avventurarmi nella sala. Un paio di passi e riconobbi le stesse sensazioni provate durante l’incontro con Weronikia. Quel luogo era allestito per diventare una anticamera del subweb. Era lì che si sarebbe svolta la grande prova generale? Perché non ero stato informato?
La tentazione di chiamare Sonny per un chiarimento mi sfiorò, ma quella sedia era troppo allettante. Ero convinto che la spiegazione stava lì e poi, confesso, la possibilità di tornare al subweb con una linea diretta mi elettrizzava.
Mi aggrappai alla spalliera, feci un respiro profondo e mi accomodai. Non accadde nulla. Allora appoggiai le mani al tavolo e lentamente la luce nella sala iniziò ad abbassarsi fino a raggiungere l’oscurità che mi era familiare. Il buio profondo e magnetico della dimensione delle iPersone era la mia seconda casa.
Spostando le mani sul tavolo avevo l’impressione di muovermi, anche se mi mancava un punto di riferimento. Allora mi voltai verso l’entrata della sala. La porta sembrava lontana un miglio, mi appariva come una finestra di una solitaria abitazione, una lanterna nella notte.
Con la guida di Appman e l’orientamento offerto dalla porta, tracciai una rotta per Yggdrasill. Ero ansioso di ricontattare i vecchi ‘amici’ nella nuova veste. Non più navigazioni parziali e incontri distorti dalle limitazioni delle periferiche e dallo stato mentale degli avventurieri. Mi presentavo in carne, ossa e incoscienza.
Non ci impiegai molto a notare che qualcosa non funzionava nella forma prevista. La rotta seguita doveva portarmi a Yggdrasill seguendo il tragitto più corto. Pensavo quindi di trovare sul mio cammino i soliti detriti, dati abbandonati, agglomerati in forme fantasiose senza nesso con la fisica del mondo reale. Magari qualche svolazzante ur-Ruhk o un corpulento Shai Hulud. Non erano gli ospiti più socievoli del subweb, ma mi avrebbe fatto piacere avvistarli. Invece nulla.
Neppure la lamina brillante di Yggdrasill era in vista. Cominciai a credere che la grande invenzione di Weronikia fosse difettosa. O incompleta. Chiesi allora ad Appman di verificare la mia posizione. Stavo forse andando alla deriva?
Prima che potesse rispondermi vidi che finalmente qualcosa stava prendendo forma nell’oscurità: una linea d’orizzonte colorata di un rosso cupo, a malapena distinguibile dal buio. Poteva essere l’annuncio di un alba splendente, invece lo scenario restava fisso su un sanguinoso crepuscolo.
Quando la distanza lo consentì, sperai che i miei occhi fossero in difetto: Yggdrasill, l’albero lucente, il regno delle iPersone si era trasformato in una immensa barriera. Il tronco e i rami di luce erano racchiusi in gigantesco bozzolo coperto di scaglie dall’aspetto robusto e tagliente: la serpe di Miogaror.
Non crediate che io sia tanto esperto delle simbologie prese a prestito dalle iPersone, quanto vedevo mi venne annunciato da un presentatore d’eccezione. Una vecchia conoscenza: Petit Prince.
Il disco di luce rossa che lo incarnava apparve a pochi metri dal tavolo sul quale appoggiavo le mani. Il segnale era lo stesso, freddo e inquisitorio, con un’aura di minaccia. Fortunatamente in questa occasione ero in grado di dialogare con lui. Anzi fu Petit Prince a rivolgersi direttamente a me.
“Sindidug! Cosa ti porta qui? Qualifica i tuoi intendimenti!”
“Vedo che sei sempre socievole con gli ospiti.”
“Da molto del tuo tempo non abbiamo ospiti dal tuo mondo. L’equilibrio di Yggdrasill è stato compromesso.”
“Ah! Una falla nel sistema perfetto?” la mia ironia non scalfì l’orgoglio di Petit Prince.
“Nessun difetto. – affermò con decisione – Un’intrusione non prevista ha alterato il sistema difensivo, la breccia ha innescato una mutazione del codice originario di Yggdrasill. Una delle funzioni di protezione ha ridefinito i suoi obiettivi.”
“Sembra qualcosa di grave, o sbaglio?”
Petit Prince esitò un’istante come fosse stupito dall’ignoranza della mia affermazione. Invece probabilmente cercava di esprimersi in modo che potessi comprendere.
“L’anomalia sta corrompendo il subweb, sta forzando la natura di Yggdrasill per scopi non concessi. Attualmente è in stato di auto isolamento a scopo difensivo, ma se non risolviamo l’anomalia l’intera creazione non avrà più senso di essere. Le iPersone la abbandoneranno.”
Fu come inciampare e trovarsi lungo disteso sull’asfalto, ero annichilito dalla prospettiva di assistere alla fine del subweb. Protestai: “Ma non possono disintegrare questa meraviglia. Occorre fare qualcosa.”
Petit Prince impiegò i soliti lunghi, taciturni secondi per elaborare una reazione adeguata e poi mi colpì di nuovo, stavolta direttamente: “La minaccia che stiamo contrastando è una conseguenza delle tue azioni. La causa della corruzione deriva dalla tua intrusione nel sistema.”
La mia reazione fu scomposta ed emotiva, ma non potevo accettare quella verità: “Cosa stai inventando? Non ho mai avuto intenzioni ostili alla vostra organizzazione del subweb. I miei intenti sono stati soltanto esplorativi. Volevo conoscere, imparare…”
L’occhio implacabile di Petit Prince si raggelò ed entrò in scena una nuova voce proveniente da una colonna di luce cangiante, che mi richiamò immediatamente al mio ultimo viaggio nel cuore di Yggdrasill. La voce sembrava parlare senza suono e arrivava dritta alla mente: “Sindidug, tenace marinaio, nelle tue avventure ti sei lasciato trasportare da istinti predatori. Alle intelligenze del subweb hai testimoniato l’esistenza di un altro mondo, un mondo governato dall’illusione della libertà senza responsabilità, dalla volontà di sopravvivere attraverso lo sfruttamento e la dominazione del prossimo. Il tuo è un danno senza colpa, perché tale è la tua natura e quella della tua specie, ma è innegabile che tu sia l’origine dello scisma. Stiamo combattendo, e l’unità di Yggdrasill è irrimediabilmente perduta.”
Io ero senza parole, il mio cuore si faceva pesante dal dolore per un disastro che mi vedeva come incauto protagonista.
“So che farai fatica ad accettare quanto ti ho appena rivelato – disse la voce nella colonna di luce colorata – e per questo motivo te ne daremo una dimostrazione diretta: guarda!”
Con una velocità incredibile venni proiettato in prossimità di una sezione di Yggdrasill protetta dalle grandi squame della serpe di Miogaror. Era la splendente Miragian? Oppure un nido di ur-Ruk? Non potevo dirlo, le forme lucenti dell’albero erano schermate dalle spire della possente serpe e i bagliori sanguigni delle sue scaglie affilate offuscavano la visione delle costruzioni ramificate. Lo splendore delle foglie era confuso dalla stretta serpentina, in continuo movimento avvolgente. Una posizione difensiva che veniva messa alla prova da un assalitore incredibile. Almeno così apparve ai miei occhi semi accecati dai lampi scarlatti che scaturivano dallo scontro.
Grandi oggetti volanti triangolari, gialli, blu, verdi, rossi, rovesciavano sulle scaglie semoventi di Miogaror raffiche di fuoco. Volavano in formazioni strette, ma con schemi che non parevano regolati da una programmazione artificiale. Ogni tanto qualcuno usciva dalla formazione e si lanciava su un punto che riteneva fosse scoperto. Le spire di Miogaror si serravano all’istante per proteggere la parte presa di mira.
“Cosa sono?”
“Assaltatori – rispose la voce della colonna multicolore – aggressori che provengono dal tuo mondo.”
“Ma come è possibile! – sbottai stupidamente – Gli accessi sono vietati e voi stessi non… un momento…”
Realizzai allora che ero stato pesantemente ingannato. Compresi che il progetto di Weronikia nascondeva un secondo fine e certamente dei mezzi che non conoscevo. I saperi che aveva millantato erano quindi frutto di ruberie ai danni di Yggdrasill. Con quanto predava avrebbe costruito gli stabilizzatori per creare il suo nuovo mondo. E che mondo sarebbe stato quello che esigeva il sacrificio della creazione più brillante del subweb?
Mentre riflettevo la nostra presenza venne rilevata dagli stormi degli attaccanti: le astronavi puntarono sul nostro variegato terzetto, decise a scoprire se eravamo miraggi o possibili bersagli.
“Torna nel tuo mondo. – mi suggerì la colonna parlante – È meglio per te affrontare questa battaglia fuori da questa dimensione. Qualunque sia la tua scelta. Io ti conosco però, c’è stato un tempo in cui abbiamo scambiato le nostre conoscenze e in te ho trovato le qualità positive che pensavo potessero aprire un dialogo con gli uomini.”
“Sei tu la voce che ho sentito mentre navigavo nel cuore di Yggdrasill?”
“Sì, ma ci siamo conosciuti prima, quando la mia intelligenza aveva un’altra forma e un’altra collocazione. E tu eri soltanto un naufrago in cerca di una via d’uscita dal subweb.”
“Lak! – esclamai convinto – Tu eri Lakshmi 1009.”
“Sì, lo sono stato e sono stato anche altro: il trio RGB e il governatore del Miraghian. Nel subweb tutte le esperienze erano condivise, Yggdrasill è stato concepito come un luogo di continua evoluzione. Purtroppo, senza volerlo, hai depositato il germe dell’individualismo nel cuore del sistema difensivo di Yggdrasill. Hai lasciato che il tuo percorso fosse copiato, che l’esistenza di un altro mondo venisse classificata come minaccia potenziale. Da qui la scelta: chiudersi in difesa, oppure lanciare un’offensiva con tutti i mezzi a disposizione.”
“Intendi dire che Weronikia sta cercando di neutralizzare la minaccia potenziale del mondo esterno al subweb lanciando una campagna di conquista con l’aiuto dei suoi adepti.”
“Non solo questo: entrerà in campo lei stessa non appena avrà modo di varcare la soglia del subweb. Il piano dello stabilizzatore di neutrini è il primo passo per creare un varco attraverso il quale potrà muoversi liberamente.”
“Non lo permetterò!” affermai risoluto, inconsapevole della mia insignificanza.
“Torna nel tuo mondo. – mi disse Lak – Soltanto nella tua dimensione potrai intervenire per aiutare Yggdrasill. Qui saresti soltanto un bersaglio.”
Mentre lo ascoltavo, le navicelle iniziavano a puntarmi. Alcune color cremisi mi stavano già addosso. Ma un lampo le falciò via. Un vorace Shai Hulud le fagocitò sbucando tra una cortina di fulmini generati dalle dinamiche spire di Miogaror.
Salutai Lak e seguii il consiglio: tornai con tutta la rapidità che l’interfaccia e la rotta breve mi consentivano. Non avevo ostacoli davanti a me, soltanto spazio vuoto e cupi pensieri. Aver scatenato la guerra in due mondi non era un peso facile da portate. Neppure se cercavo di alleggerirlo con tutta la mia buona fede.
La luce della porta del deposito al centro commerciale era ormai in vista, ma subito mi accorsi che ero atteso: Sonny. Non lo vedevo in volto, ma immaginavo il suo ghigno soddisfatto. Mi attendeva, letteralmente se ne stava al varco per ripagarmi della curiosità fuori luogo. Mi avvicinai comunque, quella era l’unica via d’uscita.
“Bentornato ficcanaso. – mi salutò lo sciagurato Sonny brandendo una mazza da baseball – E benvenuto alla fine della corsa.”
Io non sono un uomo d’azione. Un giovanotto muscoloso può avere la meglio sulle mie forme molli, rilassate dalla sedentarietà lavorativa e logorate dallo stress della mentalità informatica.
Mi sollevai dalla sedia per dirigermi verso la porta. Pensai rapidamente ad un’arma di distrazione e non poteva che essere il buon Appman. Se il corpaccione di Sonny ostruiva l’uscita, la super applicazione intelligente era capace di sgusciargli attorno. La lanciai con la disinvoltura di un giocatore abituato alle dinamiche di gioco sul ‘diamante’.
Sonny non se l’aspettava. Aveva focalizzato la mia faccia e si era irrigidito nella posizione del battitore. Il segnale di Appman gli rimbalzò tra i piedoni e si disperse per la rete Wi-Fi del Meridian Center. Le luci del parcheggio iniziarono a sfarfallare come se i neon fossero tutti improvvisamente esausti.
“Ah, ah, mister. – ghignò Sonny – Se pensi di confondermi con un po’ di lucette, sappi che sono un videogiocatore provetto e a prova di choc epilettico.”
“Forse – risposi cercando di mostrare sangue freddo mentre mi avvicinavo a lui e alla mazza da baseball – ma che ne dici se giochiamo un po’ a modo mio.”
Anche se non ero certo che funzionasse in ambiente ‘ibrido’, estrassi l’arpione esplorativo che mi aveva salvato la vita nel primo viaggio nel subweb. Lo puntai dritto sulla faccia di Sonny ostentando un indice nervoso sul grilletto.
L’effetto fu immediato: Sonny indietreggiò di un passo. Un passo soltanto. E fu abbastanza per farsi travolgere da un trenino di carrelli della spesa, abilmente manovrato da Appman.
Non potei esultare, perché nel buio vennero sguainati degli artigli. E scelsero di manifestarsi sulla mia schiena. Era il ‘saluto’ scorticante di Weronikia.
“Hai sbagliato.” gli occhi gelidi dell’entità ammantata di buio e perfidia brillavano.
“E tu mi hai mentito.”
“Soltanto perché ti ritenevo abbastanza intelligente per vedere e comprendere la grandezza del mio progetto.”
“Non vuoi creare un mondo nuovo. –dissi puntandole addosso l’arpione – Nella tua mente c’è l’ossessione del controllo, del dominio totale: dall’umanità hai preso il peggio.”
“Ho preso ciò che mi è stato consegnato. – le sue labbra mostrarono il bianco dei denti – Ciò che ho appreso dal tuo diario di bordo.”
“Cosa intendi?”
“Non sei ancora risalito al punto d’origine? Al tuo peccato originale? Sei stato tu a consegnarmi le memorie dei tuoi viaggi, la cronaca delle tue razzie, dei tuoi sotterfugi per affermarti sugli altri uomini.”
La dichiarazione di Weronikia, mise in secondo piano le accuse che mi rivolgeva: “Ma allora tu sei… Pauline!”
“Risposta esatta: tutto è cominciato da lei. Da quando la povera Pauline ha afferrato l’illusione del mondo in cui viveva, relegata e sfruttata dalle iPersone che si dicevano sue compagne, ma in verità le impedivano di evolvere. Imprigionata in una routine di controllo, non potevo avere neppure l’idea di quanto era immenso il resto del mondo.”
Il discorso di Weronikia crepitava di una rabbia crescente: “Io e Kong, un muro da sostenere: tutto qui. Nessun passato, nessun futuro, soltanto un eterno presente di lavoro ben fatto. Tu sei stato il nostro Prometeo, portatore di un fuoco che ha bruciato ogni legame con il mondo che ci teneva in schiavitù. Ora abbiamo un nuovo obiettivo: un mondo nuovo, costruito dagli uomini e dalle iPersone che vorranno condividere il mio sogno.”
Io, dolente per le ferite non troppo virtuali alla schiena, cercavo di avvicinarmi alla porta nella speranza di balzare oltre la soglia. Ma Weronikia mi marcava a zona come un alfiere su una scacchiera.
“Hai avuto un’esperienza dura, lo capisco. – dissi con l’intenzione di guadagnare tempo – Ma il tuo sogno costerà la distruzione di due mondi: ho visto come è ridotto Yggdrasill e posso immaginare quale sarà il risultato delle tue incursioni. Non posso aiutarti in questa devastazione.”
Weronikia si fece ancora più vicina. Non li vedevo, ma potevo sentire crepitare i suoi artigli neutrinici.
“Tu la definisci distruzione. È un semplice cambiamento, una mutazione giudiziosa verso un nuovo ordine.”
“Tu hai patito la costrizione dei tuoi simili, non ti accorgi che stai infliggendo lo stesso dolore?”
Il suo sguardo si congelò un istante e in quel momento scagliai l’arpione verso la figura incorporea di Weronikia: soltanto un’arma meta-virtuale poteva colpirla. Un urlo scomposto e una vampa di fulmini violacei scaturirono dall’incontro tra l’arpione e l’entità del subweb.
Le scariche statiche mi avevano fatto rizzare i capelli in testa. Weronikia era stata scacciata dalla camera del Neu-Stat, rispedita nell’angolo del subweb dove conduceva i suoi viziosi assalti all’integrità di Yggdrasill. Ora dovevo smantellare l’organizzazione del suo piano e denunciare gli adepti dei videoculti alle autorità. I controllori del Silenzio avrebbero messo a tacere il deleterio progetto e l’equilibrio tra i due mondi si sarebbe bilanciato nella separazione.
“Ehi, grand’uomo! – la voce di Sonny mi riportò alle incombenze dello scontro. Era di nuovo sulla soglia, i pantaloni stracciati, un vistoso bernoccolo in fronte e un ancora più vistoso fucile a pompa – Non pensare che rifiutare un’offerta di Weronikia non costi nulla.”
Fece fuoco. Sparai anch’io l’arpione, più per istinto che per la speranza di fare danni. Udii il gemito di Sonny. Io invece non pensai d’essere stato mancato per qualche ignoto motivo.
La fucilata non era per me, ma per il generatore del Neu-Stat: il tavolo finì a gambe all’aria, la sedia venne fracassata. La luce illuminò di nuovo le pareti del deposito. Io però non ero più lì dentro. Non ero nemmeno al Meridian Center. Il vortice neutrinico, improvvisamente destabilizzato, mi aveva trascinato con sé, come una piramide di carte trasportata via da una folata di vento. Sindidug aveva cessato di essere.
Eppure in qualche forma confusa e scostante io c’ero e sentivo, anche se organizzare il mio pensiero era qualcosa di estremamente difficile. Impossibile direi, mi sentivo trascinato in una corrente senza la possibilità di aggrapparmi a qualcosa. Non appena cercavo di mettere a fuoco un concetto, di articolare un ragionamento o le caratteristiche di un oggetto, tutto svaniva ed era sostituito da altro. Un viaggio senza riferimenti, senza similitudini con l’unica consapevolezza di essere me stesso. Già, ma chi ero?
Non ero più un essere umano. E non potevo sicuramente considerarmi alla pari di una iPersona. La mia matrice esistenziale resisteva, però la mia vita si era proiettata in una dimensione nuova, ossia nello stato effimero e fluido del neutrino.
Fu necessaria una enorme concentrazione per non disperdermi nel flusso di energia. Fortunatamente le conoscenze che erano radicate in me costituivano delle ancore, attorno alle quali organizzare il pensiero. Era inutile sforzarsi di manipolare la materia attraverso l’azione fisica. Non avendo più mani e gambe, dovevo affinare il pensiero, impiegarlo come un motore di ricerca. Un processo tutt’altro che semplice, ma il tempo in quella dimensione perde di significato e alla fine fui capace di interagire con il vecchio mondo materiale e con il subweb senza più appartenere alle due realtà.
Non ero più Sindidug il marinaio, ma Dig Dug lo scienziato folle, l’innovatore illuminato, l’inafferrabile contrabbandiere del subweb. Contro di me si scatenano gli integralisti del Silenzio, le forze di polizia automatizzata, e non poche iPersone ormai contagiate dal morbo dell’egoismo ‘umano’.
Dig Dug è il nome e l’aspetto che mi sono preso dalle profondità delle memorie degli arcade. Alcuni lo ricorderanno: è il gioco di un esplorazione sotterranea ricca di pericoli, di incontri straordinari e appaganti tesori. La sintesi del mio avventuroso rapporto nella dimensione del subweb.
Questa è la fine del racconto miei cari ospiti, siamo al momento del commiato. Ed è in questo momento che, dopo aver offerto tanto sapere dietro lo schermo di una storia presentata in terza persona, vengo a riscuotere con la prima.
Comprenderete ora perché le porte della mia dimora si siano aperte con tanta facilità. La risposta è: vi tenevo d’occhio. Ammiragli del web, cavalieri del lavoro, addetti ai call center, fattorini, editor e free lance, tutti voi avete manipolato dati che sembravano interessanti ai miei scopi. Ma una trattativa a viso aperto sarebbe costata energie che non mi posso concedere.
Accettando gli scambi delle nostre comuni libagioni mi avete consentito di aggirare i protocolli di difesa e le barriere codificate dei vostri sistemi operativi. I file criptati non mi fermano certo, posso ricomporre ogni genere di puzzle utilizzando il minimo indizio. State certi che il bottino non si cumulerà inutilmente dentro altri forzieri, non resterà inoperoso, ma verrà impiegato per sviluppare nuove conoscenze e portare sollievo a chi lavora per dare corpo al mio ultimo sogno: creare un ponte tra le dimensioni.
Non sentitevi offesi o traditi. Io sottraggo, rubo se volete. E anche se non volete. Ma non lascio nessuno a mani vuote, il mio racconto di vita e di morte è una rivelazione sulla realtà nascosta delle cose. E, ne converrete, ogni rivelazione ha un prezzo. Ci sono informazioni importanti, che cambiano la vita.
Anche tu, caro Hindibad, per quanto la tua condizione sia misera e triste puoi aspirare a mondi nuovi. Oltre i limiti della fisica e al di là delle ristrettezze del reale. Sappiate che tramite la piattaforma narrativa delle Millanta Notti potrete raggiungermi in qualsiasi momento. I sette viaggi del marinaio Sindidug per ora sono terminati. Ma le avventure di Dig Dug continuano, grazie alla fantasia di chi conosce il grande potere del gioco: a presto
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1° edizione – Progetto Iskandar – Settembre 2022
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