Dark, il lato oscuro del tempo

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un drammatico "indovina chi?" alla tedesca

Il mondo in cui viviamo è sopravvissuto a una catastrofe accaduta nel giugno 2019. “Quale delle tante?” Direte voi. Ma quella di Dark – i segreti di Wienden, la serie televisiva che è giunta alla terza e conclusiva stagione offrendo un bel gomitolo di trama, un groviglio temporale irresistibile per tutti i felini che fantasticano di viaggi nel tempo.

Il primo piolo da fissare per parlare di questo lavoro è che si tratta di una produzione tedesca. Anche se dovrebbe essere evidente ai più dopo i primi 5 minuti: non ci sono inseguimenti di auto e pistole spianate (tipicità Usa), non ci sono draghi, demoni e scienziati picchiatelli (marchio British), non la prendono sul ridere o cercano di fregare il prossimo (Italian style). Nelle prime sequenze di Dark abbiamo due cose che di solito non vengono rappresentate: un suicidio e una scena di sesso. Amore e morte, la fine e il principio. Basterebbe questo per capire che il racconto viaggia su altre frequenze.

Si parla di viaggi nel tempo, ma la trama del racconto risuona di cultura alta. Che per motivi di sintesi, si potrebbe tentare di ridurre in un: Wagner che inciampa su Freud e Einstein cerca di metterci una pezza. Ma poi non è proprio così perché nelle tre stagioni di Dark (o forse tre dimensioni…) Einstein viene sì citato, ma anche un po’ “curvato” per consentire la meraviglia dei viaggi nel tempo.

Chi non vorrebbe andare a spasso nel passato? Chi non vorrebbe sbirciare nel futuro? Dark lo rende possibile, però nei confini di Wienden, una cittadina anonima che si pregia della presenza di una centrale nucleare. Una teutonica Springfield senza Homer Simpson (o quasi) dove i problemi sono sepolti nella foresta che circonda l’abitato e nei silenzi colpevoli di tre famiglie che si intrecciano nel presente, nel passato e nel futuro.

Non mi sbilancio a dire altro, se non per esplicitare i numi tutelari di questa tragedia temporale costruita su più piani intersecati tra loro. Abbiamo i drammi della tetralogia di Richard Wagner con  rapporti illeciti usati come forza prorompente anti convenzionale (e forse anche anticoncezionale, ma lo capirete guardando). Abbiamo Sigmund Freud nel cuore delle pulsioni dei personaggi, che si attraggono e si respingono in maniera irresistibile sui binari del dolore e del desiderio. Abbiamo Albert Einstein che relativizza il dramma dell’individuo allargando la prospettiva in una dimensione che va oltre la percezione della materia. Capite bene che c’è combustibile per l’eternità, ma per quanto la trama si faccia fitta si arriverà uno scioglimento emotivo. Dark non fa gli errori di Lost e non si tramuta in Beautiful dell’infinita tragedia (per la gioia nostra e forse anche di Friederich Nietzsche).

Se posso permettermi un appunto, lo rivolgo al fronte recitativo. Rappresentare tutte queste emozioni nelle giuste frequenze non è facile. Gli autori, in particolare lo sceneggiatore e regista Baran Bo Odar che pare pilotare la nave di Dark, hanno un po’ troppo il dito sul tasto f4. Gli interpreti spiacevolmente spesso “basiti” e sconcertati. Come da copione, sbagliano le domande da porre e offrono risposte incomplete e vaghe (e mai uno che si ricordi del test del dna). Ok, siamo in un campo di sospensione dell’incredulità, ma se a un personaggio capita qualcosa di effettivamente anomalo, la giustificazione dell’interlocutore non può essere “non puoi capire”, “te lo faccio vedere” (a tale proposito c’è una scenetta tra ragazzini che mi auguro sia autoironica), “devi credermi”. Forse sono espressioni che fanno parte di una etichetta tedesca, la stessa in base alla quale i personaggi non si prendono a cazzotti, ma parlano a turno, si ascoltano e sbarrano gli occhioni (forse ansimando in eccesso, ma il trauma lo esige).

Non è semplice abbandonare il nostro trenino temporale per fantasticare di balzi nelle stazioni del futuro o del passato. La possibilità di interagire sul corso degli eventi uscendo dal rapporto di causa ed effetto senz’altro ci affascina. Guardando Dark si comprende però che questa idea può innescare un giro di catena alquanto problematico. In linea di principio, un consiglio: se proprio dovete viaggiare nel tempo, cercate anche di mettervi in moto anche nello spazio. Specialmente lontano dalle lande inquietanti di Wienden.

Gianlorenzo Barollo

È un alter ego professionale attratto dall’amatorialità e gran cultore del perseverare nell’errore che ci fa umani. Per pochi ma belli è noto come autore del bestial seller “I pensierini di Mosè” e di “Triscaidecafobia”.

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