la dottrina in pallottole di trigun

Trigun è un manga (opera di Yasuhiro Nightow) e anime della seconda metà degli anni ‘90. Una stagione creativa in cui le trame dei conflitti tra bene e male diventano più complesse, i caratteri dei personaggi sono ombrosi, punteggiati di ignoto e i racconti sembrano strizzati dopo un bagno in torrenti filosofico/metafisici.
Trigun, in prima battuta, sembra un lineare western steampunk con accenni a City Hunter: il protagonista Vash the Stampede all’apparenza è un pistolero che ha un debole per donne e dolci, e una taglia sulla testa. Detto così, con il suo susseguirsi di duelli e sfide a pistolettate e tattiche mortali, Trigun non sembra offrire molto a parte un divertimento in qualche trovata estetica e cinetica, in qualche faccia deformed a furia di schiaffoni. Una parodia del fagioli-western in stile giapponese potrebbe apparire al lettore/spettatore sbrigativo. E lo è, almeno fino a che vengono a galla elementi di trama inaspettati. Non siamo su una terra post apocalittica. Non siamo sul rosso Marte. Bensì su uno sperduto pianeta spelacchiato, colonizzato erroneamente dai discendenti di una Terra malata in viaggio nello spazio profondo.
Altra sorpresa, Vash non è umano. È parte del Plant, entità artificiale e fonte di energia ampiamente e variamente sfruttata dall’uomo. È una nuova forma di vita ed energia che si confronta giorno per giorno con le bassezze e le tenerezze dell’essere umano. Vash, va detto, ha già fatto una scelta di campo e il suo tormento personale consiste nella fatica di mantenere i suoi principi di giustizia e pace in un mondo regolato dalla forza e dalla violenza. Essendo la manifestazione umana di una forma di energia, Vash può avere reazione “esplosive”. Ed è per questo che è stato dichiarato “calamità naturale” ed è oggetto di una caccia incessante.
Il suo antagonista è Million Knives (già dal nome abbastanza inquietante), suo fratello. Ma di un polo opposto: se Vash cerca la salvezza per tutti, Knives vuole l’annientamento totale. Vash crede nella redenzione, Knives vuole resettare e far ripartire la creazione oltrepassando l’uomo. Il cuore del racconto, a mio avviso, sta tutto in una scena: i piccoli Vash e Knives sono in un giardino virtuale a bordo di un’arca-astronave. All’improvviso vedono una ragnatela. Una farfalla intrappolata sta per essere catturata dal ragno. Vash esita cercando di capire come risolvere il dilemma: la salvezza della farfalla o la fame del ragno? Knives uccide il ragno. L’azione batte il pensiero. Ma il pensiero diventa un tormento per Vash, che sente la sua natura affine agli insegnamenti della sua tutrice, Rem. Un pensiero più buddista che cristiano, incardinato sul concetto della compassione: volere il bene per tutti gli esseri viventi. Cercare un’armonia fuori dal tempo (come nel grembo artificiale del Plant) e anche dalle leggi umane dello stato di necessità.
Fondamentalmente il dilemma del ragno e della farfalla è irrisolvibile da Vash finché si illude di poter agire secondo le regole del vecchio mondo umano. Anche lui si rende conto che occorre resettare, non l’umanità ma se stesso. Vash, al termine del suo percorso di sofferenza e comprensione, diventa un bodhisattva, un illuminato che rinuncia al Nirvana per indicare la via della compassione alla farfalla e al ragno.
Non male per un fumetto di pistoleri nel deserto.