Roma e Milano, qua la mano

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Due città nel sound visivo di Daniele Luppi

Nel lungo elenco di cervelli fuggitivi (povera la nostra nazione decerebrata!) c’è il nome di Daniele Luppi. Padovano di nascita e ora radicato in quel di Los Angeles per offrire i frutti migliori del suo talento musicale come compositore, produttore e arrangiatore (John Legend, Gnarls Barkley e Mike Patton). Spazia dalle colonne sonore del cinema e delle serie televisive alle collaborazioni con gruppi e cantanti, che magari non sono in cima alle classifiche ma hanno il pregio di un sound sofisticato, ricco di rimandi e suggestioni. Luppi è un appassionato conoscitore di musica per il cinema, in particolare di quella che ha fatto conoscere il cinema italiano in tutto il mondo. Saltando il maestro Morricone, ricordo Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Piero Umiliani, Nino Rota etc, etc.

Detto questo nel 2011 è accaduto qualcosa che colpevolmente ho mancato: Luppi ha pubblicato l’album “Rome”, in collaborazione con Danger Mouse (altro musicista e produttore dal tocco d’oro). Un autentico gioiello sonoro avvalorato delle voci di Norah Jones e Jack White. La musica scorre lieve e carezzevole come una pellicola d’argento, gradevole e atmosferica. L’orecchio un poco educato non fatica a cogliere nell’abbraccio melodico i luccichii e le pennellate di sound “presi a prestito” dai “fratelli maggiori”. Non è un lavoro di campionamenti e collage, ma una reinterpretazione guidata con metodo e garbo. Arpeggi di sitar, cori evocativi alla Alessandroni, stacchi di archi, battiti vellutati, sono parte di una elegante architettura. Anche la nota di chiusura messa in fondo a una canzone, non è casuale, ma richiama un effetto degli anni ‘60 e ‘70.

Rome non rispecchia certo l’anima storica e geografica della città, ma può essere un’idea di viaggio, un attraversamento a volo d’uccello (o googlemap) che ridesta un sentimento sopito. “Black” è la canzone perfetta per un drink con vista sul Tevere.

Nel 2017 Luppi ha pubblicato l’album “Milano” con i Parquet Courts. Qui il suono è meno sognante e più urbano. Dovuto allo stile del gruppo che ricorda i Velvet Underground più quieti, oppure i più dolci Feelies, con un piglio chitarristico che discende dai Television. Anche in “Milano” il gioco delle audiocitazioni non è fatto di semplici clip, ma di autentiche trappole sonore che fanno aguzzare l’udito e scattare il piacere della similitudine riconosciuta. Anche se alla successiva battuta ti accorgi di camminare in tutt’altra regione.

I Parquet court non possono non ricordare i Velvet Underground più quieti, oppure i più dolci Feelies, con un piglio chitarristico che discende da Talking Heads e Television. La title track è “Soul & cigarette”, ritmi e battiti trascinati di passi in galleria e sulle scale del metrò. La Milano che corre c’è e strepita tutta, così come le fascinazioni dei neon notturni, ben interpretati dalla voce glitterosa (copyright) di Karen O. Le sorprese sonore non mancano: una intro hendrixiana (Lanza – Milano) si tramuta in un caleidoscopio psichedelico. Cafe flesh parte con un sinuoso sax che monta in una danza indiavolata alla Morphine. Le “visioni” delle città sono sensibilmente diverse: se Rome è il ritorno della classicità tracciata dalle memorie cinematografiche, quello di Milano è lo straniamento della metropoli imprigionata nella sua modernità. Il suono presente sarà pure molto “altrove”, ma è sempre piacevole una sosta nei fasti della saudade in distillato italiano.

Mauro Corbetta

È un ologramma creato dalla Cultura Pop e dal (pessimo) umorismo milanese, ma se ce abbastanza corrente diventa vero in tutti i sensi. Tornerà?

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