
La scuola è un luogo pauroso. La scuola è quel posto dove impari fin da piccolo il significato di termini come competizione, ipocrisia, rabbia, frustrazione, ansia, senso di inadeguatezza, bassa autostima. Fin dal primo giorno di scuola ti senti spaesato, fuori posto, un piccolo smile dal sorriso sbagliato e insicuro in mezzo ad altri tuoi simili che presto o tardi ti metteranno i bastoni fra le ruote per un voto migliore del tuo. Ma la scuola non è solo questo, per fortuna, lo sappiamo bene tutti quanti. Eppure, nel concepire The Coma, i programmatori hanno posto l’accento, sotto forma di metafora da “videogame horror”, sulle terribili conseguenze che può avere un sistema scolastico fallimentare sui ragazzi. Parlare di The Coma ad un livello più profondo e meno superficiale di un’analisi del suo mero gameplay a due dimensioni rende davvero giustizia a questo gioco, altrimenti classificabile come l’ennesimo gioco horror di matrice orientale. Una delle principali differenze che possiamo subito constatare riguarda l’ambientazione: la scuola dove avverrà l’intera vicenda non è il classico liceo giapponese, ma un istituto coreano. Fin dalle prime battute è possibile carpire qua e là indizi che suggeriscono la differente visione della Scuola da parte del team coreano confronto ai colleghi giapponesi più blasonati.
Se nei media giapponesi (anime, film, serial, videogames) l’istituto scolastico è considerato un luogo quasi marziale con le sue regole e imposizioni e dove fenomeni come il bullismo vengono smorzati sul nascere grazie ad una ferrea regolamentazione interna, alla Sehwa High School le cose vanno molto diversamente. I ragazzi in fermento per gli esami in vista, che sanciranno “la loro utilità nella società e delineeranno il loro futuro” come si evince da un dialogo fra due png, si ritrovano a fare i conti non solo con i bulli che vessano i più deboli e sensibili, ma anche con un fenomeno molto più diffuso e tristemente noto. Il suicidio. La morte di uno degli studenti poco prima dell’inizio degli esami, che di fatto fornisce l’incipit all’intera vicenda non appena il nostro protagonista giunge a scuola, è un’accusa tutt’altro che velata alle pressioni che il sistema scolastico impone agli alunni.
L’apparente suicidio del compagno di Youngho, il protagonista che vi ritroverete a muovere fra le ombre dei corridoi della scuola in una dimensione parallela oscura e inquietante, troverà una spiegazione in-game con il proseguire del gioco, ma è chiaro che ci sia molto di più. Durante l’esplorazione dell’istituto, in quella che sembra essere una perenne mezzanotte dove nulla è come sembra e i cadaveri di studenti anonimi cercheranno di farvi saltare sulla sedia più volte, ci si imbatterà spesso, forse fin troppo, in memo appesi alle pareti delle aule o post it lasciati sui banchi. Confessioni e segreti da parte di studenti e professori, alcuni decisamente a tinte forti e che faranno emergere il marcio dietro la facciata di una scuola perfetta ed apparentemente immacolata, fiore all’occhiello della città coreana dove è ambientata la vicenda. The Coma non è un gioco riuscito pienamente, perché pecca proprio lì dove dovrebbe dare di più ad un giocatore che intende giocare per divertirsi, ovvero il sistema di comandi, a volte poco intuitivi. E non aiuta la frettolosa conclusione (?) con cui scriveremo la parola Fine alla nostra avventura, però credo che il punto di forza sia un altro, ed è costituito dalla critica pungente nei confronti dell’istituzione scolastica in sé: da quel punto di vista lo scopo è stato, a mio parere, pienamente raggiunto. Non mi addentrerò in un territorio cedevole e pericoloso come le considerazioni personali sul sistema scolastico italiano cogliendo l’occasione rappresentata da questo articolo dedicato ad un videogame, ma se affronteremo The Coma andando un po’più in là della semplice avventura Scappa-Dal-Mostro-Trova-Gli-Indizi allora vivremo un’esperienza soddisfacente, in primis. Se poi ci faremo qualche domanda in più su fenomeni come bullismo, nonnismo e vessazioni varie, da sempre presenti e tollerati con nonchalance, se non addirittura promossi (“un po’di nonnismo fa sempre bene, tempra lo spirito” come disse qualcuno in un’intervista tempo fa al telegiornale facendomi rabbrividire molto più di Silent Hill 2) allora il Videogioco avrà ancora una volta dimostrato che non è solo un giochino con cui passare il tempo, ma un Media veicolo di Comunicazione a tutti gli effetti.
Simon