Gli sguardi sul mondo di due bambini inventati

In un contesto di retro letteratura che coltiva l’arte della nostalgia nel suo più elevato senso estetico ed esistenziale, non è azzardato incrociare l’opera di Ramon José Sender a quella di Romain Gary.
I punti di contatto sono molteplici, a partire dalle biografie. Sender, spagnolo, presta servizio militare in Marocco negli anni ‘20 e combatte con le forze repubblicane durante la guerra civile. Un conflitto in cui perde la moglie – fucilata dai nazionalisti – e presto anche le sue radici, costretto ad emigrare in Francia, Messico e infine negli Stati Uniti.
Gary, nato a Vilnius (che era parte dell’impero russo zarista) si trasferisce con la madre in Francia e qui studia legge poi entra nell’aviazione militare entrando in azione allo scoppio della seconda guerra mondiale. La sconfitta francese lo porta in Inghilterra per continuare la lotta e infatti si render protagonista di diverse azioni temerarie. Terminata la guerra, inizia la sua carriera come diplomatico che lo porterà negli Stati Uniti, in particolare a Los Angeles.
La ricchezza delle loro esperienze di vita è una risorsa preziosa che si articola in romanzi capaci di esplorare gioie e drammi esistenziali, conflitti epocali e crisi sociali. Tutti sempre raccontati con padronanza di mezzi e un gusto per i dettagli vividi, per il ritratto umano.
Entrambi hanno ricevuto riconoscimenti per la loro opera: Sender ottenne il premio nazionale di letteratura nel 1935 e il Premio Planeta nel 1969 (una sorta di riconciliazione visto che le sue opere erano nella Spagna della dittatura franchista). Gary vinse due volte il Premio Goncourt, uno dei più alti riconoscimenti letterari francesi. La particolarità è che il secondo premio lo vinse “sotto mentite spoglie”. Infatti il romanzo era attribuito a Emile Ajar, uno pseudonimo di Gary che per rendere l’operazione più credibile ingaggiò un cugino per interpretare il talentuoso autore esordiente. La “beffa” venne scoperta soltanto dopo la sua morte, nel 1980.
Ed è proprio di questo romanzo “travisato” che trattiamo: La vita davanti a sé (La vie devant soi – 1975) perché il protagonista e narratore è il giovanissimo Momo. Forse un coetaneo di José, alias Pepe, il fiero aragonese in calzoni corti che è protagonista e narratore de La cronaca dell’alba (1942) di Sender.
Due contesti distinti, ma non lontani nel rappresentare delle voci genuine della prima gioventù, esistenze che muovono i primi passi acerbi tra i misteri di un mondo all’albeggiare della vita.
Ma la stessa luce, che nel racconto si carica immancabilmente di un’aura nostalgica, può illuminare realtà molto diverse. Momo vive nella Parigi degli anni ‘70, in un variopinto quartiere di immigrati che ancora non sono stati inscatolati nelle “banlieue” di cemento. Momo è un figlio del peccato, preso a “pensione” da un’anziana ex prostituta che alloggia bambini scomodi per le donne che fanno l’antico mestiere o hanno avuto qualche inconveniente con la giustizia. Pepe invece è un bambino fortunato, nasce nella Spagna rurale dei primi decenni del ‘novecento, figlio di un proprietario terriero, attratto pericolosamente dalle speculazioni d’affari. In Pepe convivono la voglia sfrenata di avventura, di imporsi per qualità e meriti che, a suo avviso, sono acquisiti e dovuti. Si sente nobile, si sente chiamato a grandi imprese, un don Chisciotte in miniatura che si scontra man mano con le autorità e le asprezze di una società in movimento.
Momo è un “arabo” presunto, ossia figlio di musulmani, per quanto ne sa lui, visto che la sua albergatrice Madame Rosa è ormai vecchia e malata e tende a fare confusione con le provenienze dei suoi piccoli ospiti. Momo illustra il suo viaggio della prima consapevolezza attraverso le lotte quotidiane alla miseria e ai soprusi che incalzano continuamente chi sta ai margini. Momo è in perenne battaglia per tenere assieme il suo piccolo mondo rattoppato all’ultimo piano di un palazzaccio senza ascensore. È un combattente promosso sul campo dalla progressiva decadenza di Madame Rosa, corpulenta ebrea, scampata ai nazisti e alle tante trappole sospese tra povertà e necessità.
Pepe è un innamorato della vita, innamorato della sua piccola Valentina, verso la quale prova un sentimento forte e puro quanto quello di un cavaliere da leggenda. Nelle sue gesta di paese ci sono combattimenti stile Guerra dei bottoni o I ragazzi della via Pal. Liti con le sorelle e il padre, prove di coraggio e piccoli grandi segreti da custodire nella purezza dei sentimenti.
Per Momo l’innocenza è un concetto lontano e vago, dei fiori del male conosce l’odore e le forme, ma è ben addestrato da Madame Rosa, non si fa incantare. Il sospetto è la prima regola per evitare fregature dolorose. Anche in stato di necessità occorre ingegnarsi per giocare al meglio tutte le carte buone. Ecco che Momo sa rubare, sa impietosire, sa suscitare interesse, ma sempre con atteggiamento guardingo, non vuole farsi accalappiare. Momo di felicità borghese non ne vuole sapere, vive sul lato selvaggio della vita, fra stregoni urbani, protettori azzimati, generosi travestiti, e non lo vuole lasciare.
Pepe invece non resterà nel suo mondo di gloria sognata, conoscerà la sofferenza, lascerà il paese per il collegio e poi la grande città. Conoscerà preti e frati, strani filosofi, superbi avversari, rivoluzionari in fermento e fanciulle in fiore che metteranno la prova le sue convinzioni e affineranno i suoi sentimenti.
La Cronaca dell’alba, va detto, è il primo di ben nove romanzi che raccontano la vita di Pepe dall’infanzia alla guerra civile spagnola dove – spoiler – perderà la vita. Lo svelamento non è grave visto che lo si trova nelle prime pagine del libro: il racconto è una sorta di autobiografia immaginata che spesso di intreccia con quella di Sender.
Per Gary invece non si tratta di allestire un affresco storico o tracciare la parabola di una consapevolezza sociale, piuttosto di trovare una “voce” per una parte di Francia ancora poco esplorata, ma dietro l’angolo. Una Francia meticcia e multietnica che ricorda tanto l’arancia globale che abitiamo oggi.
Negli occhi caleidoscopici di Momo e Pepe vediamo così rispecchiata una società intera. La vediamo ancora appannata dalle ingenuità e da faville di meraviglia, la vediamo nelle tinte forti descritte da Momo e nelle tonalità liriche di Pepe, la percepiamo nelle paure non evocate degli emarginati e nelle aspirazioni vibranti di chi non conosce la resa. Sender e Gary attraverso gli sguardi dei loro “bambini” ci regalano un momento magico, quello della crescita e della scoperta dove la luce del cuore è più forte delle linee d’ombra.