Ray Johnson – un ricordo del padre della mail-art

  • Autore dell'articolo:
  • Tempo di lettura:8 minuti di lettura
Cover Ray Johnson

“Molti anni fa disegnavo serpenti.
Stavano sotto i piedi.
Anne e Bill Wilson ebbero un figlio.
Lo chiamarono Oceano.
Ho dipinto quadri di pettini e cappelli.
Vivo a Manhattan.
Ho dipinto un’isola.
La scorsa estate sulla spiaggia a Coney Island stavo leggendo Playboy e decisi ritornando a casa di fare un disegno della scarpa di Jean Seberg.
“Il ghiaccio rosa le cade in testa” è un frammento di qualcosa che ho scritto.
Fra il piede e la testa sta il ginocchio.
Una luce al neon getta luce rosa sulla neve.

Un sacco di miei lavori giovanili che non sono stati distrutti o spediti in busta ad amici li ho sotterrati.

Ho sognato di una razza sguazzante nel Lago Michigan.

Il vento di Chicago fece volare il cappello.”

Ray Johnson, 1977

Il necrologio di Ray Johnson apparso il 19 gennaio 1995 sul New York Times si conclude con l’asciutto commento “non gli sopravvive alcun parente stretto”. Mai frase di circostanza è stata usata in modo tanto inappropriato, in quanto l’artista statunitense ha certamente lasciato dietro di sè, se non proprio dei consanguinei, una enorme famiglia di affezionati networkers, sparsa in ogni continente. È difatti del tutto giustificata, nel caso di Johnson, la reputazione a lui unanimamente accordata di originatore (o meglio, “padre”) del circuito internazionale oggi noto col nome di mail-art, quel movimento dai confini indefiniti che ha preso le mosse, verso la fine degli anni ‘60, proprio dai primi pionieristici.

Nato a Detroit del 1927, Johnson aveva studiato negli anni ‘40 al celeberrimo Black Mountain College nel North Carolina (con insegnanti come Josef Albers e Robert Motherwell), un laboratorio creativo che ha partorito i nomi di maggior spicco dell’avanguardia artistica americana del secolo scorso, da Merce Cunningham a John Cage. Nel ‘48, Ray si è trasferito a New York, dove ha frequentato i locali circoli artistici e, dopo un breve periodo di esperienze astratto-espressionistiche, ha messo a punto le proprie originali strategie operative, capaci nel loro piccolo di ribaltare assunti fondamentali del sistema e del mercato dell’arte.

Basti accennare qui ai suoi moticos, minuscoli cartoncini sagomati contenenti disegni e foto ritoccate da giornali, esposti in luoghi pubblici come marciapiedi o stazioni ferroviarie, i quali venivano si posti in vendita ma anche, secondo lo stato d’animo del momento, stediti in omaggio per posta ad amici, conoscenti, personaggi celebri e perfetti sconosciuti (scelti dall’elenco telefonico, in base al nome o altri criteri), assieme ad enigmatici messaggi, giochi di parole, richieste assurde, inviti a incontri reali o fittizi. In tal modo, Johnson innesta un processo di partecipazione collettivo all’esperienza creativa, con possibilità di risposta e scambio epistolare, in una dimensione che poneva in discussione il ruolo tradizionalista dell’artista-demiurgo, rinchiuso in una torre d’avorio inaccessibile al pubblico, e che scavalcava al tempo stesso le figure istituzionalizzate del critico e del gallerista per dar luogo, nelle parole dell’autore, alla “sorpresa è intimità di riceve qualcosa di inaspettato”.

Questi contatti epistolari (ma Ray amava molto anche usare creativamente il telefono e organizzare incontri/happenings) dalla metà dei ‘60 assunsero un’importanza sempre più rilevante nell’attività dell’artista, consolidando poco a poco una vasta rete di feconde relazioni interpersonali, da lui battezzata con il nome ironico di New York Correspondance School (mutato negli anni in varie ludiche variazioni, dalla NY Correspondance School alla NY Gymnastic School alla Buddha University).

“I giochi di parole non sono solo un gioco”, ha avuto occasione di scrivere Alfred Jarry. Tale considerazione si applica alla perfezione al lavoro di Johnson, in apparenza un effimero e frammentario divertimento, ma osservato nel suo insieme (migliaia di comunicazioni a centinaia di corrispondenti diversi) magistralmente orchestrato in una fitta trama di geniali rimandi, coincidenze, doppisensi ed illuminazioni poetiche di complessità Joyciana. Esistono fortunatamente alcuni cataloghi di esposizioni, in cui sono state radunate corpose raccolte private di corrispondenza, che riescono a darci un’idea precisa della poetica globale che scaturisce dai materiali che l’artista ha disseminato per il mondo.Pur non avendo mai conseguito neppure in minima parte il grado di notorietà di un Andy Warhol o di un Robert Rauschenberg, Ray (scherzosamente battezzato il più famoso artista sconosciuto del mondo) è stato un pioniere della Pop Art, fra i primi artisti, negli anni ‘50, ad integrare ne propri collage elementi tratti da prodotti industriali e dalla cultura popolare, o volti di personaggi noti come Elvis Presley o James Dean.

Mentre però Warhol, Oldenburg e soci conquistavano un posto al sole nel sistema galleristico newyorkese, grazie all’originalità ma anche alla massiccia produzione seriele e al seducente gigantismo delle loro pittire e sculture, Johnson ha sempre invece lavorato in copia unica e su piccoli formati: questa sua predilizione per la miniatura e i materiali effimeri gli ha inevitabilmente precluso l’appoggio dei massimi sistemi del mercato dell’arte.

Spesso associato anche al gruppo Fluxus, per il carattere minimalista e concettuale dei suoi progetti, Johnson è stato in realtà un talento unico facente scuola a sè stante (un pò come l’altrettanto misconosciuto Joseph Cornell), un raffinatissimo collagista e originale illustratore dal tratto elegante ed essenziale, i cui fumettistici serpenti e coniglietti, una sorta di marchio di fabbrica, precorrono il graffitismo alla Keith Haring.

Soltanto una ventina di mostre personali in quasi cinquant’anni di attività, più un paio di retrospettive in musei pubblici, non sono una gran cosa, ed è stata forse una forma depressiva, indotta anche dal mancato riconoscimento della pripria statura artistica, che ha spinto Johnson a togliersi la vita lasciandosi affogare in fredda giornata invernale. 

Immediata è stata la risposta dei circuiti mail-artistici, che venerano Ray come un maestro zen dell’arte del networking: il belga Guy Bleus ha coordinato l’esposizione istantanea di fax e e-mail Pray for Ray presso l’Archivio di E-Mail Art da lui inaugurato ad Hasselt, l’Archvio Artpoll di Budapest si è fatto promotore di un scambio continuo nel network di opere di 

Johnson, per mantenerne viva la memoria, per citare solo due degli innumerevoli progetti originatisi spontaneamente, non appena si è diffusa la luttuosa notizia.

Il 14 Gennaio 1995, il giorno in cui il cadavere di Johnson è stato ripescato sotto il ponte di Sag Harbor a Long Island (forse non del tutto casualmente, data l’indole enigmistica dell’artista; “to sag” in inglese ha il significato di cedere, indebolirsi, andare alla deriva), assume forse anche un più ampio valore simbolico, marcando in questo modo la fine del periodo aureo dell’arte per corrispondenza, la conclusione di un ciclo trentennale di pratiche creative interattive, la cui eredità è stata affidata alle operazioni compiute tramite fax o BBS e oggi Internet.

Quando all’artista, pochi mesi prima della sua scomparsa, è stato chiesto da un intervistatore se avesse considerato l’opportunità di sostituire, come molti altri mail-artisti, le nuove reti elettroniche a buste e francobolli, questi aveva risposto molto laconicamente: “No, io non funziono ad elettricità.”

Mauro

Libri e Cataloghi di/su Ray Johnson presenti a RetroEdicola Club:

– The Paper Snake (Something Else Press, New York, 1965)
– Correspondence: An exhibition of the letters of Ray Johnson (North Carolina Museum of Art, Raleigh, 1976)
– Ray Johnson Ray Johson (Between Books, New York, 1977)
– Ray Johnson – John Willenbecher (Between Books, New York, 1977)
– Works by Ray Johnson (Nassau County, Museum of Fine Art, Roslyn Harbor, New York, 1984)
– Eternal Network – a mail art anthology, a cura di Chick Welch (University of Calgary Press, 1995 – contiene un capitolo dedicato all’opera di Johnson).
– Arte Postale! (monografico realizzato da RetroEdicola Videoludica, 1999, in italiano)

Mauro Corbetta

È un ologramma creato dalla Cultura Pop e dal (pessimo) umorismo milanese, ma se ce abbastanza corrente diventa vero in tutti i sensi. Tornerà?

Lascia un commento