Storie di guerra fredda sulla calda stella del mattino

Nella fantasia classica Venere è stato il simbolo di una divinità e un corpo celeste tanto splendente da rivaleggiare con le stelle. Poi con le osservazioni e gli studi, la stella del mattino è passata dal pianeta delle nubi perenni al Guinness del pianeta più caldo del sistema solare. Un inferno privato con un posto in seconda fila sul Sole. Un po’ diverso dagli scenari della lussureggiante serra tropicale immaginati nel 1938 da Edgar Rice Burroughs per il suo avventuriero Carter Napier e, ancora nel 1951, da Ray Bradbury, in un racconto de L’uomo illustrato.
Naturalmente anche il cinema non si è fatto suggestionare troppo dalle evidenze scientifiche e ha coltivato ambientazioni venusiane ardite: dal pianeta delle amazzoni (Queen of outer space con Zsa Zsa Gabor è un magnifico défilé datato 1958) alla patria di saggi messaggeri (Stranger from Venus del 1954), ovviamente inascoltati e di mostri terribili (20 million miles to Earth 1957), regolarmente eliminati.
Ma seguendo la brezza da guerra fredda che spira dalle cronache dei nostri giorni, ci è venuta voglia di accostare due opere d’ambientazione venusiana: Soyuz 111 – Terrore su Venere e Operazione Vega. Due opere che nascono a pochi anni di distanza e inevitabilmente risentono dello scenario politico militare post seconda guerra mondiale, un periodo in cui la sfida tra le superpotenze – gli Usa e l’Urss – si era elevata, in senso letterale, diventando la “corsa allo spazio”.
Tutto era iniziato nel 1957 con i bip-bip lanciati via radio dallo Sputnik. Ovviamente non si tratta del noto vaccino russo, ma del primo satellite orbitale costruito dall’uomo. Un prodigio tecnologico timbrato con falce e martello che venne accolto con meraviglia e spavento, per le potenzialità offensive che annunciava. Gli Stati Uniti avviarono subito un intenso programma spaziale e il presidente J. F. Kennedy in particolare indicò un traguardo spettacolare: entro la fine degli anni ‘60 la bandiera a stelle e strisce avrebbe “sventolato” sulla Luna. L’età d’oro dell’esplorazione spaziale era iniziata. La fantascienza che si era occupata di scenari extra planetari, di colpo acquisiva la dignità di letteratura del futuro prossimo, forse campato ancora per aria, ma stavolta con solide basi (missilistiche).
Arriviamo così al film del 1960 di Kurt Maetzig Soyuz 111 – Terrore su Venere. Questo è il titolo della versione italiana, la distribuzione nel mercato anglosassone è rimasta fedele a quello originale, ossia The silent star, più evocativo. La trama è ispirata al romanzo di Stanislaw Lem, Astronauti del 1951. Diciamo ispirata perché nei vari passaggi dal libro alla sceneggiatura e alla realizzazione, vi furono dei cambiamenti che non piacquero all’autore polacco e quindi preferì distanziarsi dall’opera.
Possiamo immaginarne le ragioni. Le storie di Lem – sicuramente avete presente il suo capolavoro Solaris – hanno bisogno di una dimensione più riflessiva e di un respiro filosofico. L’esplorazione spaziale infatti coincide con la scoperta di nuovi ordini di pensiero, nella possibilità di guardarsi con altri occhi e arrivare all’essenza dell’essere umano. Aspetti che non sono esattamente al centro del film di Maetzig.
Infatti la storia, ambientata nel “lontano” 1985, in molti tratti è una cronaca dal futuro appena oltre l’orizzonte. Un tempo in cui si apprezzano i frutti di una società ordinata e organizzata con accenni di socialismo realizzato, un mondo in cui sono le menti più brillanti a stare al centro della scena. Insomma meno Flash Gordon e più Zarkov. Nella versione originale del film gli scienziati sono tutti personaggi con carta d’identità “oltre cortina di ferro” o di Paesi non allineati al blocco occidentale. Tutti sono stati rinominati nella distribuzione estera, cancellando possibili tracce di propaganda sovietica per dare all’avventura un vago tono internazionale.
Quanto alla trama: nel deserto del Gobi viene scoperto uno strano oggetto di provenienza aliena, un successivo esame lo ricollega all’eccezionale esplosione di un oggetto non identificato a Tunguska, nel 1908. Gli scienziati determinano l’origine venusiana del manufatto e cercano di interpretare il messaggio che porta, una sorta di invito extraplanetario. Con questo biglietto da visita viene allestita una missione spaziale diretta alla “stella del mattino”. Purtroppo a metà strada scoprono che i venusiani non hanno intenzioni amichevoli, anzi pianificano una conquista della Terra. Il pianeta però resta avvolto nelle sue nubi e in un misterioso silenzio. Fermiamoci qui.
Invasioni annunciate, test atomici, spionaggio e scontri, non solo ideologici, marcavano pesantemente le cronache del tempo. I due blocchi si fronteggiavano in una partita a scacchi intercontinentale che intrecciava traiettorie di missili a testata nucleare e bombardieri pronti a sganciare carichi di morte. Nel 1962 i timori di un conflitto globale presero corpo con la crisi dei missili di Cuba. L’isola dei Caraibi divenne improvvisamente punto focale di una contesa tra la superpotenza americana e quella sovietica: per alcuni giorni si attese la fatale scintilla che avrebbe innescato la fine del mondo conosciuto.
Non è difficile immaginare che quell’atmosfera di tensione costante abbia influito sull’ideazione del radiodramma Operazione Vega, dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt. Un lavoro che proprio nel 1962, prima della crisi cubana, venne sceneggiato dalla Rai, per la regia di Vittorio Cottafavi, con un cast di ottimi attori (Aldo Giuffrè, Arnoldo Foà, Gastone Moschin e Lia Angeleri).
La storia è ambientata nel 2255, in un sistema solare parzialmente colonizzato. La superpotenza dei Liberi stati confederati è ai ferri corti con la controparte chiamata Moluvia. La Luna ha conquistato la sua indipendenza ed è militarmente un osso duro, Marte invece vuole restare neutrale e ha i mezzi per farsi rispettare. Gli ambasciatori dei Liberi stati si recano così su Venere per stringere un’alleanza. Pianeta di cui sanno poco, visto che per via della sua inospitalità climatica è diventato una colonia penale, dove ogni anno le superpotenze “scaricano” decine di indesiderabili: criminali e oppositori politici.
La sorpresa arriva dalla scoperta che gli emarginati, sentendosi più “venusiani” che terrestri, sono diventati una comunità anarchica, votata alla lotta sopravvivenza e ad una sorta di fratellanza con la morte annidata in ogni aspetto dell’ambiente ostile. Sull’esito del contatto stendo un velo… venusiano (che si può agevolmente sollevare cercando su youtube).
Pur avendo innegabili similitudini – l’ansia per un conflitto imminente, le paure dell’olocausto atomico, il contrasto tra civiltà e sistemi sociali – le due storie ambientate sul secondo pianeta del sistema solare puntano in direzioni differenti. Se nel film di Maetzig, su Venere albergavano una ignota minaccia aliena e una lezione sulle conseguenze del potere sulla materia senza il debito controllo. Per Dürrenmatt invece Venere rappresenta il luogo di una libertà estrema, fuori dalla società umana. In entrambi i casi Venere si afferma per la sua identità difficilmente afferrabile, anche nella fantasia resta un pianeta che non si piega facilmente alla contaminazione umana. Una “stella” bella e impossibile, come si conviene alla divinità classica che gli è stata associata.