il ragazzo che ignorò La dura legge dei tre giorni
La merce più spacciata in questo ultimo lustro di drammi a intensità alternate e ammutolenti tregende, è senza dubbio il complottismo. In origine un esercizio di salvezza per le paranoiche élite reggenti, poi arricchito e nobilitato dall’indagine metafisica dei filosofi e dalle speculazioni estetiche degli artisti, oggi è una pratica precipitata nelle sterilità dell’arena commentatoria dei social e dei telesalotti. Luoghi di iperboli obbligatorie e di studiate gaffe alla “Roma per Troma”, dove si miete la rigogliosa gramigna fertilizzata da decenni di ritagli di X files e le leggende urbane affrescate dal cinema e belle lettere.
Il retropensiero, da buona pratica del what if, è stato avvelenato dal sospetto fino ad assurgere all’altare della Verità oscura. Talmente oscura che sta ovunque, manipola con i megafoni e ottunde chiunque, tranne ovviamente i “pochi” profeti illuminati, i nostradamici surfisti del dietro le quinte, predicatori di apocalissi in pantofole e nuovi ordini del mondo in delivery.
C’è da chiedersi se questo non sia davvero l’ultimo stadio della civiltà paranoica: una implosione della conoscenza che porta alla paralisi? Un paradosso patologico che nel tentativo di auto assolverci dal groviglio di una gestione fallimentare della politica globale, risveglia in noi un potente e assurdo “appetite for destruction”? In pratica, la versione umana dei lemmings che corrono furiosamente in cerca di una rupe dalla quale gettarsi (forse per sfuggire alla prospettiva di quale orribile complotto).
Strano perciò imbattersi in un anime degli anni ’80 e ritrovare buona parte delle questioni che affollano i pensieri del nostro quotidiano. Mi riferisco a Xabungle, un’opera del papà di Gundam, Yoshiyuki Tomino e di Shoji Yoshikawa (Zambot 3, Daitan 3, Lupin III, Conan ragazzo del futuro) trasmessa per la prima volta nel 1982 in Giappone, ma non arrivata in Italia. La trama è ambientata su Zola, un mondo abbastanza arido e selvaggio che lascia ai Civilians (i principali residenti) poco tempo per le riflessioni dovendo mettere a fuoco le risorse per sopravvivere. C’è chi si arrabatta rubacchiando, chi scava la terra per recuperare i cristalli pregiati e chi organizza commerci in bazar improvvisati. Il concetto di paese e o città è sconosciuto, prevale il nomadismo o degli insediamenti che somigliano ai paeselli del far west.
In questo contesto stile Mad Max, dove le citazioni dello spaghetti western (e pure una gustosa parodia del film d’animazione Heavy Metal) si sprecano, facciamo conoscenza con il buffo e disperato Jiron, un ragazzo dalla testa a forma di melone che vaga nel deserto. Ha appena perso i genitori in un assalto devastante di un predatore a bordo di un mecha walker. La rapina, il furto e la violenza sono declinazione abituale dei rapporti tra i civilissimi Civilians. Eppure questo non si traduce in guerre e faide tribali perché esiste la legge. Un solo articolo, semplice e chiaro: se subisci un torto, entro tre giorni va restituito. Se non ci riesci, allora la questione va seppellita. Tutti “nemici” come prima.
Una consuetudine curiosa, che influenza un po’ tutti gli aspetti della vita dei Civilians. Non esistono autorità, soltanto bande in formazioni mutevoli. I più ricchi possono permettersi di assoldare manodopera, che solitamente ruota attorno alle grandi navi di terra (piuttosto simili alla Base bianca di Gundam) e ad alcuni speciali mezzi di trasporto e combattimento.
La particolarità dell’anime è che la tecnologia non è frutto della “farina” dei Civilians, bensì dei misteriosi Innocents, che vivono sparsi sul pianeta ma isolati e distinti, chiusi in cupole sigillate e protetti da potenti sistemi di difesa. Gli Innocents propongono i loro avamposti come empori neutrali, e si dicono interessati soltanto a scambi commerciali certificati e codificati, per evitare ogni dubbio di favoritismo.
Il sospetto che l’ordine delle cose su Zola non sia naturale, comunque non sfiora i Civilians, occupati ad arraffare pietre blu per ottenere nuovi equipaggiamenti dagli Innocents. Sospetto e complottismo paiono sconosciuti su Zola, nessuno si fa grandi domande o azzarda teorie. Almeno finché qualcuno non decide di violare la legge dei tre giorni. Sì, proprio il nostro Jiron diventa il cigno nero, l’evento imprevedibile che sconvolge l’intero sistema.
Nella storia – pur avendo un target adolescenziale – è interessante osservare, attraverso i personaggi, lo sviluppo dei temi dell’evoluzione e della rivoluzione. Evoluzione dei rapporti sociali, delle relazioni interpersonali e rivoluzione nei confronti dei blocchi di forza, degli status che impongono identità.
I Civilians infatti sono dei barbari votati all’avventura, privi di conoscenza se non quella pratica del commercio, del furto con destrezza, della sopravvivenza. Mancano di istituzioni, di istruzione e di storia. Per loro esiste soltanto il presente, continuamente resettato dalla legge dei tre giorni che nel costante oblio impedisce di costruire legami e motivazioni durature. Davvero difficile pensare di concepire una civiltà in un’orda tanto disomogenea.
Spie indicative di queste voragini sociali sono le cerimonie funebri. Eichi, la figlia di un capo clan infatuata della “cultura” degli Innocents, alla morte del padre vuole organizzare una cerimonia. Ma non avendo testi sacri, credenze o tradizioni cui fare riferimento, il funerale si trasforma in un siparietto comico. Più in là nella serie, Jiron e soci si ritrovano ancora davanti ad una croce a pronunciare frasi di commiato e porgere fiori. Però, appena espletato il tributo formale con frasi d’occasione, sbuffano e tornano alle schermaglie di sempre. Una applicazione perfetta del “chi è morto giace, chi è vivo si da’ pace”.
In realtà questa mentalità priva di attaccamenti è una risorsa che consente ai Civilians di insistere e persistere nel conseguimento dell’obiettivo primario: vivere in un mondo ostile. Non è inusuale vedere i ragazzi che si cibano di lucertoloni raccattati per strada. E quando incontrano dei coltivatori di verdura o una ragazza che si prende cura di alcuni orfani si stupiscono di comportamenti tanto “originali” e poco pratici.
Nonostante tutte queste mancanze, la squadra di Jiron cresce e si lega, nascono attrazioni e affetti, si scoprono caratteri e si combinano intese (nulla di troppo serio, la leggerezza nel racconto è costante: spesso i personaggi “guardano” in camera e si rivolgono al pubblico). Jiron, trasgressore della legge dei tre giorni, contagia anche altri personaggi e gradualmente vediamo evolvere tutto l’insieme degli sbandati in una piccola organizzazione, che non è soltando un’associazione avventurosa. E per di più la figura di Jiron sarà un faro per altri Civilians, ispirando una rivolta anti Innocents che in prima battuta travolge lo stesso protagonista.
La lotta per la conquista di Zola non è comunque il bersaglio narrativo in Xabungle. E neppure la cancellazione del nemico nel sempiterno schematico conflitto “bene contro male”. Sotto i riflettori di Tomino & co c’è la marcia della vita con l’incessante rullare del Bolero di Maurice Ravel. C’è il cammino sconnesso delle specie descritto da Charles Darwin che sancisce il sopravvento dei più adatti, dei più forti e ora, anche dei più empatici.
La prova arriva nel concitato finale, quando uno dei protagonisti resta menomato nei combattimenti e si allontana mestamente dal gruppo per non essere di peso agli altri. Una pratica che su Zola deve essere la norma. Ecco che tutti gli amici – sì, ormai sono tali – corrono nel deserto per recuperarlo in un abbraccio corale. La squadra di Jiron dimostra d’aver vinto l’indifferenza e la diffidenza del vecchio mondo e di essere evoluta darwinianamente nel nucleo sociale che getterà il seme della futura civiltà sul pianeta. A dimostrazione che per sventare un complotto autentico serve a poco essere “saputi”, quel che conta sono azione e connessione: il resto, se deve arrivare, viene da sé.
Pablo Miguel